"Per la vita di Alfie"
La determinazione con la quale la Giustizia britannica si è appropriata della sorte del piccolo Alfie Evans, bimbo ammalato e fragile, ci inquieta e ci obbliga a proporre una seria riflessione sui rapporti tra Stato e Cittadini.
Il disposto giudiziario di “condanna a morte” espresso nei confronti di un piccolo fragile, affidato alle cure dei medici, che di lui per statuto deontologico dovrebbero prendersene cura: stravolge il magico rapporto di alleanza medico-paziente, soprattutto se gli operatori sanitari sono poi chiamati ad essere meri esecutori di morte; offende la Medicina, chiamata alla interruzione delle cure per un assurdo declamato “migliore interesse della persona”, che non coincide più con la cura, ma con una sentenza capitale.
Ritroviamo in questa posizione la più grande offesa alla persona umana e la più orrenda cosificazione della vita.
E’ disumano staccare un figlio “inesorabilmente difettoso” dalle braccia dei genitori.
E’ insopportabile interrompere e impedire quell’abbraccio d’amore tenace dei genitori nei confronti dei figli.
E’ assolutamente insopportabile l’arroganza dei sani verso gli ammalati vulnerabili e bisognosi.
Vanno respinte con forza quelle visioni totalitaristiche e riduzionistiche che smembrano la definizione di persona.
I medici cattolici levano alta la loro voce, affinché ogni società civile, in ogni parte del mondo, recuperi la visione integrale e completa dell’essere umano, oggi totalmente calpestata in tutta la sua dignità.
L’ingresso della tecnica nell’area degli affetti, della famiglia e della filiazione non può trasformarsi in una macchina sociale, perversa e violenta, che nemmeno più risponde delle conseguenze delle proprie azioni.
Quel che oggi sta accadendo scardina il rapporto diretto e univoco tra genitorialità e figliolanza e dissolve l’assoluto diritto dei fragili di avere diritti.
Il dominio dell’uomo sull’altro uomo rappresenta il più grande sopruso che la società dei sani sta disponendo sulla vita dei fragili.
Sono necessari massimi interventi sociali perché si rimediti sul senso del rispetto della vita e si ostacoli questa deriva che non accetta più mediazioni, ma produce e realizza imperative applicazioni di morte.
Nessuno ha l’autorità di decidere o di definire “vite degne o non degne di essere vissute”:
I bisogni e le vulnerabilità dei fragili vanno sostenuti!
Tutti abbiamo la responsabilità e l’obbligo di affrontare, con coraggio e determinazione, tutte le possibili sfide che contrastino ogni welfare imperfetto e ogni economica ragione di Stato che, travalicando ogni limite, decreta la morte dei suoi cittadini.
Prof. Filippo M. Boscia
Presidente Nazionale AMCI
Roma, 24 aprile 2018
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