La sana economia "de u Zi Larenzu Catore"

Caro Dino, eccomi! Dopo un periodo di silenzio, che ho preso in libertà, per mettere a tacere certe diaboliche critiche sulla vera paternità di quello che scrivo, ho deciso di ignorarre queste sterili convinzioni atte a mettere scompiglio nella mia solita serenità, e continuare ad esprimere senza mai offendere nessuno e accusare chi sbaglia, cercando di essere quanto più oggettivo possibile, cercando di suggerire, per il bene comune, propositi e soluzioni positive.
Dopo questo doveroso appunto, vorrei parlare di un argomento che da qualche tempo sta agitando le più serene coscenze dei genitori: ho letto che in America, Bill Gates, fondatore e proprietario della Microsoft, ha destinato ai suoi tre figli solo una piccola quota della sua eredità. Così come ha fatto l'ex leader dei Police e bravissimo Sting. Difatti non arriverà neanche un centesimo ai suoi sei figli. Secondo lui questa decisione eviterà di far crescere, i suoi discendenti, senza stimoli e stima di loro stessi.
Anche Mister Ikea ha dato tutto ad una fondazione ed escluso dai lasciti i tre eredi. Nel mondo anglosassone, però, si può disporre del patrimonio più liberamente. Mentre in Italia non possiamo diseredare i figli, c'è una legge che tutela gli eredi, anche se la maggior parte degli italiani è molto più protettiva di altrove.
Uno statagemma più convincente lo ebbe "u Zi Larenzu Catore", il quale fece pagare l'affitto ai suoi tre figli maschi che risiedevano nelle abitazioni di sua proprietà. Per giunta pretendeva di essere accudito dalle nuore e nipoti fino ai suoi ultimi giorni di vita. Altrimenti, li avrebbe cacciati di casa! I figli si consolavano convinti che dal giorno dopo la sua morte si sarebbero, comunque, suddiviso il maltolto e le nuore continuarono ad assisterlo "rozzolandu" incredule della situazione quasi paradossale.
Mentre "u Zi Larenzu" rispondeva a "Mesciu Ginu Calieddru", il barbiere del paese, che lo sfotteva: "poi vidi ca me volanu chiù bene de mortu ca de vivu... intantu moi hannu capire quanta fatica aggiu fattu cu fazzu e case".
Questo personaggio quasi unico nel suo rigore, aveva alle spalle una Guerra Mondiale e tanta fatica nei campi, con la zappa tra le mani, lavorando "de sole an sole" (dall'alba al tramonto) eccetto la domenica, perchè quella "era del Signore", come lui stesso diceva. Ancora ricordo il suo completo spigato grigio e camicia bianca con cravatta nera (portava solo quella dopo il lutto della moglie) e i capelli con la brillantina (Linetti); dopo la messa prendeva dal bar del centro una "Sanbuca cu la muschia" (un bicchiere di Sanbuca con un chicco intero di caffè galleggiante).
Era un saggio della cucina contadina, quella delle "paparine cu le vulie" o dei "pisieddri a cecamariti", accompagnati dal solito pezzo di pane di grano duro (di almeno due giorni) e la "vucala deu vinu" sul tavolo.
Quando il Signore lo chiamò al suo cospetto lasciò molta tristezza, ma anche molta curiosità. I giorni dopo il suo funerale la sua abitazione fu rovistata e scandagliata a fondo dalle tre famiglie ma niente! "Mancu na lira!" Neppure in banca vi era traccia del tesoretto. Fino a quando, dopo sei mesi, furono convocati da un Istituto finanziario di Lecce, il quale comunicò ai tre figli che il padre aveva lasciato in eredità ad ognuno la propria casa e in più i soldi equivalenti a tutte le mensilità d'affitto da ognuno versato negli anni passati.
Le tre famiglie tornarono nelle loro case, quasi incredule, pensando a quel padre che anche dopo la morte continuava ed essere "una scuola di vita!"

Caro Santino, "non ti curar di loro ma guarda e passa". E continua a scrivere, ovviamente! (d.v.)

Martedì, 22 Luglio, 2014 - 00:02