La pupatella

Era un periodo in cui la cosa che mi riusciva meglio era andare a spasso per il mondo. Con ogni mezzo. Quella volta avevo preferito la nave.  Avevamo conosciuto due coppie di un paese vicino, una delle quali aveva due bimbe piccole.  Ci vedevamo in genere la sera a cena, poi durante il giorno capitava spesso di incrociarci o di fare qualche escursione insieme. Quella sera arrivarono un po’ più tardi del solito con i due passeggini e con la più grandicella che piangeva a squarciagola, un pianto disperato e con lacrimoni così grandi da bagnare completamente la maglietta di Hello Kitty che aveva.  E non c’era verso che smettesse malgrado tutti i nostri sforzi. I genitori ci spiegarono, il motivo di quel pianto: avevano dimenticato “il ciuccio” sul tavolo a pranzo,  e confuso probabilmente con pane, piatti, tovaglioli e bicchieri era finito sicuramente  nel sacco della spazzatura. Tornammo a chiedere ai camerieri che avevano pulito, niente.
Andammo in giro per i negozi sulla nave, chiedemmo in giro a genitori di bimbi se mai avessero un ciuccetto in più. E per la verità una mamma  la trovammo ma si rifiutò di darcelo per la paura anzi per il terrore che potesse capitare a lei la stessa cosa capitata al nostro caro amico. Quella sera ci trovavamo così su quella nave perfetta, con la tecnologia  più avanzata possibile,  tra lustrini e paillettes, tra canti e balli, tra Bulgari e Swarovski e una bimba che piangeva disperatamente per il “ciuccio”.  E noi su quella nave che scivolava sulle onde del Mediterraneo quasi increduli, fermi e inutili, in bilico tra la grandezza della nave e la “banalità di un “ciuccio”.  Disarmati e impotenti.
Ero io il meno giovane e per questo forse solo a me, poteva venire in mente quello che le nostre nonne o anche le nostre madri preparavano ai loro bimbi quando forse il “ciuccio” ancora non c’era  o forse costava troppo.  “La pupatella”, un fazzoletto di cotone con una zolletta di zucchero, annodato e bagnato davanti a mo’ di ciuccio.  Fu un successo, brindammo a lungo ancora increduli.  su una nave perfetta un “ciuccio” ci aveva messo in crisi. Q
uella serata ci allontanava da Istanbul tra il chiacchiericcio di chi aveva trovato la città incantevole e di chi era rimasto profondamente deluso. Il sole s’era perso da un po’ ma c’era ancora abbastanza luce  per vedere le cime altissime delle moschee. L’aver io risolto in maniera così brillante un problema che sembrava irrisolvibile mi faceva sentire addosso un certo che di importanza  e quella serata non finì così.
Ritornato il buon umore e l’allegria, ci spostammo nella sala SAFARI, dove era in corso di svolgimento una gara a premi. Bisognava indovinare il titolo della canzone che si suonava e che un gruppo di ragazzi e ragazze della animazione ballavano in pista. Dalla mia posizione, giacche’ c’era un bel po’ di gente, si potevano notare solo  le ragazze e però a dire il vero, non sentivo nessuna necessità di spostarmi per vedere anche i ballerini. Stavo lì battendo le mani e muovendo un po’ le gambe, quando partì all’improvviso la canzone di chi era stato un mito per un bel tratto della mia giovinezza. Che avevo cantato tante volte cercando di imitarlo senza riuscire anche nel ballo. Non ci vidi più.  Partii a razzo andai al centro del palco dove una ballerina era già pronta ad ascoltare e pronunciai in un inglese quasi perfetto il cantante “Michael Jackson” e la canzone  “BEN”.  Avevo indovinato. 
Quella sera ebbi per la seconda volta il mio momento di gloria. Partì qualche applauso di qua e di là, ma i miei amici non la finivano più, continuavano  a battere le mani anche quando ero tornato tra loro.  Non prima però di aver ritirato un cappellino e uno zainetto come premio.  La navigazione continuò tra tramonti incantevoli e paesaggi meravigliosi e noi tra il cielo e il mare, tra ponti e scale, da salire e da scendere, all’inseguimento di tutto quanto ci sembrava divertimento, a goderci quella settimana di allegria , esibendoci in atteggiamenti tipici vacanzieri il più delle volte non adatti alla nostra età, ma  quella volta ci permettemmo tutto.  Quel viaggio ci portò in tante parti, ci fece vedere tanti posti ma  la prima cosa che quando rivedo quei miei amici ricordiamo ancora è la “pupatella”, che sostituì con onore un ciuccio perso tra le onde, facendo tornare l’allegria ad una bimba … ed anche a noi.

Domenica, 3 Agosto, 2014 - 00:05