La prima del 'Don Carlo' al Politeama

La famosa opera di Giuseppe Verdi ha aperto la 45a Stagione Lirica della Provincia di Lecce

Venerdì sera nella splendida cornice del Teatro Politeama Greco a Lecce è andato in scena il primo appuntamento della 45ima Stagione Lirica organizzata dall'Assessorato alla Cultura della Provincia di Lecce. "Il filo conduttore con cui abbiamo voluto collegare questa 45a Stagione Lirica Tradizionale è quello dell’ “Eros e Thanatos”, Amore e Morte, inteso sotto i vari aspetti tragicamente diversi dell’Amore" ci spiega Sergio Rendine, direttore artistico dell'evento "Apriamo la Stagione con il Don Carlo, una delle opere più belle di Giuseppe Verdi, un capolavoro assoluto della maturità, che presentiamo nella versione italiana in 4 atti che andò in scena al Teatro alla Scala di Milano il 10 gennaio 1884".
Sul podio dell’Orchestra "Tito Shipa" sale il Direttore musicale Filippo Maria Bressan e a dirigere il coro è la maestra Emanuele Di Pietro. Questa edizione dell’opera è curata dal regista Ludek Golat, con le scenografie di Alessandra Polimeno e le luci di Iuraj Saleri. Nel difficile ruolo di Don Carlo si esibisce Leonardo Caimi, tenore lirico di indubbie qualità vocali ed attoriali. Al suo fianco, nella parte di Elisabetta, Cellia Costea. Filippo II è Carlo Colombara, basso italiano esibitosi in molti dei teatri più prestigiosi del mondo, tra i quali: Staatsoper di Vienna, Metropolitan di New York. Il baritono italiano Corrado Carmelo Caruso veste i panni di Rodrigo e il basso Michail Ryssov è il grande Inquisitore.
Già nel 1850 era stato proposto a Giuseppe Verdi di musicare il Don Carlos di Schiller, ma il compositore non aveva accettato. Nel 1863 è a Madrid visita l’Escorial e scrive: «È severo, terribile come il feroce sovrano che l’ha costruito». Filippo II diventerà il protagonista del suo Don Carlos, scritto per l’Opéra di Parigi, e che andrà in scena nella versione in cinque atti l’11 marzo 1867. Già per la prima parigina, però, Verdi fu costretto a operare dei tagli perché l’opera era troppo lunga e bisognava terminare in tempo perché il pubblico potesse prendere i treni che collegavano Parigi con i sobborghi. Poi Verdi realizzò una versione in quattro atti "Il Don Carlos è ora ridotto in quattro atti, sarà più comodo, e credo anche migliore, artisticamente parlando. Più concisione e più nerbo", scrisse il compositore. L’opera verdiana fa agire sulla scena una vera galleria di anime inquiete.
Al centro sta la figura di Filippo II, re di Spagna e padre di Don Carlo; il soliloquio introspettivo «Ella giammai m’amò», sottolineato dalla dolente melodia del violoncello, traduce l’impotenza del potere reale davanti all’animo umano e restituisce magistralmente tutta la complessità psicologica del personaggio. L’evoluzione della figura di Elisabetta la conduce, dalla grazia sorridente delle sue iniziali inflessioni melodiche, verso un canto spezzato e teso che esprime la sofferenza, l’oppressione dolorosa di un destino che la condanna a un matrimonio senza amore; il momento chiave del personaggio è «Tu che le vanità», un monologo rassegnato ma sereno, dolcemente avviluppato negli arpeggi dei legni. Don Carlo, l’innamorato spinto dalla forza della passione e delle sue giovanili illusioni, mostra la sua evoluzione soprattutto nei tre intensi duetti con Elisabetta, nei quali passa dalla pienezza del sentimento amoroso alla disperazione e poi alla rassegnazione dell’addio. Non meno complesse, né meno sfaccettate, sono le figure della principessa d’Eboli e del marchese di Posa. Sullo sfondo l’atmosfera, opprimente e un po’ morbosa, dell’Inquisizione, che nella sua severità contrasta singolarmente con la fragilità dei sentimenti umani. Numerose le scene dal grande impatto drammatico. Nella terribile scena del Grande Inquisitore, l’inquietante vecchio obbliga il re a sacrificare suo figlio alla ragione di stato; è lo scontro tra due forti volontà, nel quale si incarna l’eterno scontro tra il potere temporale e l’ecclesiastico. Trascinante il canto delle voci congiunte ed esaltate di Carlo e Rodrigo, che nel loro duetto celebrano, a ritmo di marcia, l’amicizia fraterna. Teso e grandioso il finale del secondo atto, con la marcia funebre minacciosa e cupa, la voce mistica che dal cielo promette ai defunti la pace celeste, il colpo di scena dell’arrivo dei deputati fiamminghi, venuti a perorare la loro causa davanti al re. È una grande scena che concentra il conflitto drammatico e sintetizza lo scontro tra le forze negative e positive del dramma. La musica di Verdi, con somma abilità introspettiva, dà espressione a ogni sfumatura psicologica, a ogni variazione di carattere. Anziché abbandonarsi al tradizionale florilegio melodico dell’opera italiana e incasellare la sua musica nei pezzi chiusi, Verdi impiega un linguaggio moderno, armonie cromatiche e instabili, effetti orchestrali ricchissimi e ricercati, e soprattutto forme fluide e flessibili. L’opera che scaturisce dalla sua fantasia creatrice non si lascia catalogare nelle anguste categorie di un genere, tanto meno in quelle del grand opéra. Forse meno unitaria di altre opere verdiane, in Don Carlo sono però ineguagliate la potenza dello scavo psicologico, la forza drammatica e l’efficacia rappresentativa.
"Ringrazio la direzione artistica, la produzione, i cantanti, i professori d’orchestra e tutti coloro che hanno lavorato all’organizzazione e alla sua realizzazione, assicurandole un ottimo livello artistico" sono le parole di Antonio Gabellone, Presidente della Provincia di Lecce "Nonostante le difficolta`, i tagli, gli impedimenti a cui la Provincia ha dovuto e deve far fronte negli ultimi periodi, non rinunciamo, ed anzi puntiamo con maggiore fermezza sulla produzione culturale." L'ottimo risultato ottenuto, confermato da una platea interamente occupata, non può far altro che gratificare l'impegno di chi si è speso per l'organizzazione di tale manifestazione. Il prossimo appuntamento, con le replica della prima opera, è in programma per questa sera alle ore 18.

Domenica, 2 Marzo, 2014 - 00:06

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