La parmigiana

Nessuna ricorrenza particolare e nulla da festeggiare, ma quel giorno qualunque avevamo voluto fare uno strappo, una trasgressione. Eravamo andati, in quella calda giornata d’agosto, in un lido attrezzato. E che lido. Quel giorno qualunque, non si badò a spese.  Colazione, parcheggio, ombrellone e due lettini ed erano già partiti i primi 50 euro, senza alcun disappunto da parte nostra,  anzi, lasciando trasparire, tutta la nostra gioia e contentezza. 
Per scaricare tutto, dal parcheggio all’ombrellone che ci avevano assegnato, facemmo due viaggi, ma quando mi distesi al sole su quel lettino con quell’asciugamano che odorava di bucato, fu tutta un’altra musica. Di tanto in tanto qualche yacht  sfrecciava all’orizzonte e qualche gabbiano solcava felicemente il cielo. L’acqua era cristallina, il mare fermo, il sole sembrava dipinto e di nuvole neanche l’ombra.
Un breve sguardo al giornale per non sfigurare  e, quasi quasi  “andiamo al bar” quasi quasi “ci prendiamo un altro caffè”. Il conto fu salato, ma il caffè buonissimo. Il resto della mattinata lo passammo nell’acqua a nuotare, a tuffarci, immergerci in quel paradiso stracolmo di gente piena di sé. Ma noi non eravamo da meno.
Verso le due, avvertimmo i primi segnali e un quarto d’ora dopo ci guardammo fissi negli occhi: avevamo fame. Tutt’intorno gli accenti più diversi,  quasi tutti “altitaliani” e tutti che delicatamente assaggiavano yogurt, crackers, grissini,  tarallini,  e frutta. Insomma tutte cose delicate.  Ed io che mi vergognavo a tirare fuori, piatti, forchette, bicchieri di plastica e poi ancora quella teglia  in vetro trasparente strapiena di “parmigiana”.
Quando finalmente per la fame ci facemmo coraggio e strappammo con forza la stagnola che avvolgeva la teglia, il profumo della parmigiana si sprigionò tutt’intorno sino ad arrivare alle barche di pescatori e villeggianti che erano al largo. Partì un timido “favorite” alle persone che stavano a fianco al nostro ombrellone. Non se lo fecero ripetere due volte, sopraffatte dal profumo, il nostro posto si popolò all’improvviso di tutti i confinanti. Più di uno chiese il “bis” ed io impegnato com’ero a tagliare, servire,  versare e spiegare tempi e cottura, non mi accorsi di non aver assaggiato quasi niente. Ormai era troppo tardi.
Apprezzarono così tanto la nostra cucina e soprattutto il nostro vino che di quel frigo, che poteva contenere roba per un’intera settimana,  ben presto si vide il fondo tra il dispiacere generale. Insomma i complimenti furono tanti, tant’è che ci ripromettemmo di trovarci l’indomani, allo stesso posto e alla stessa ora. Più o meno ora di pranzo.
Poi ognuno tornò alla sua “postazione” e per un’oretta non si sentì più nessuno. Ma quando verso le cinque del pomeriggio, misi fuori quel thermos con il caffè, erano già in fila con il bicchiere di plastica in mano. Ed io, rapito da quel “ fascino nordico” che ti fa quasi convincere d’essere un passo indietro, a versare, contento d’aver conosciuto tanta bella gente in quella giornata qualunque.
Non seppi mai se l’indomani, come promesso, tornarono allo stesso posto.
Noi no. Noi eravamo da tutt’altra parte.

Mercoledì, 19 Agosto, 2015 - 00:06