La notte
Continuammo a parlare per tutta la notte, senza fermarci un attimo. Seduti su una panchina di fronte al mare, con una luna che sembrava per niente interessata ai nostri discorsi. L’alba, e che alba, ci sorprese ancora a parlare e chiacchierare. C’eravamo trovati per puro caso durante un soggiorno per anziani organizzato da comuni diversi, in una splendida località di mare. Io 80 anni da qualche giorno, lui 80 anni da qualche anno. Volevamo vedere “la notte” i suoi colori, i suoi rumori. Non lo facevamo più da tanti anni, dopo averlo fatto tante volte da giovani. Volevamo ascoltare i suoi silenzi, la sua pace. Respirare un po’ d’aria fresca e ricordare. Ricordare le notti passate a studiare, le notti passate a pensare, le notti passate a ballare, le notti passate a vegliare. Io “poeta mancato” lui “vagabondo pentito”. Qualche poesia che ricordavo a memoria la recitai . – Bravo! – mi disse ma non riuscii a capire se lo disse davvero o soltanto per farmi piacere. Lui mi parlò di tutti i posti del mondo in cui era stato, accompagnato solo da quell’armonica a bocca che suonava nei punti più frequentati delle città che girava. Aveva vissuto così per 40 anni, da “vagabondo” come lui amava definirsi. Suonava l’armonica ai passanti frettolosi che neanche lo sentivano o davanti a quel pubblico di appena una decina di persone che si fermavano ad ascoltare ed ogni tanto ad applaudire. Suonava di tutto, suonava per strada, per quelle poche lire che gli regalavano.
Era felice, non aveva mai chiesto di meglio, ma sottovoce mi confessò che se avesse potuto ricominciare quella vita non l’avrebbe più fatta. Quella vita l’aveva lasciato solo, senza nessuno, solo con la sua armonica. Prendemmo la via del ritorno all’albergo che non era molto istante. Da lì a qualche giorno ognuno sarebbe tornato al suo paese. Lui in quel paesino del Nord ed io in quel paesino del Sud.
Attraversammo la piazza che malgrado l’orario “mattutino” era già piena di gente. – Ti racconto la mia vita – mi fa. Lo vidi allontanarsi un po’, prendere posizione sui gradini di una Chiesa e cominciare a suonare, con la sua armonica una vecchia canzone americana. Suonava in una maniera meravigliosa, suonava da Dio ed io lì tra una decina di persone che si erano fermate incuriosite , tra il suo pubblico, ad ascoltare. Finì la prima canzone ed iniziò la seconda ancora più bella. Io iniziai l’applauso, gli altri provarono a seguirmi. Fu un lungo applauso, fu come un “omaggio alla carriera”. Riprendemmo a camminare appena in tempo. Dopo pochi passi, fu colpito da un attacco di tosse che lo accompagnò sino all’albergo. Avrei voluto recitare anch’io la mia poesia in quella piazza, dimostrargli che non ero meno bravo, ma ormai era troppo tardi. Finì così quella vacanza, ma col mio “collega artista” ci sentimmo più di una volta. Parlavamo tanto, parlavamo di tutto, ma lui non suonava più ed io non scrivevo più.
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