"La nostra vita pubblica è ormai all'insegna del rancore"

“Un Paese familista e tribale dovrebbe avere il coraggio di riconoscersi come tale"

Solo due pensieri che in maniera magistrale, esplicitano le nostre idee confuse sui tempi bui che stiamo attraversando. Il primo è in un’intervista di Paolo Sorrentino e, secondo me, giustifica (e non soltanto) uno dei motivi per cui il “bello” sia stato bandito dall’Italia. "La nostra vita pubblica è ormai all'insegna del rancore, di un'intolleranza quasi fisica. Un'assoluta mancanza di stima e di rispetto per chi lo merita, la denigrazione sistematica dell'altro come giustificazione a una mediocrità ostinatamente perseguita".
Il secondo lo si trova in uno dei libri più belli usciti quest’anno, che meritava il Premio Strega ma si è dovuto accontentare del Premio Viareggio, dove il potenziale delle case editrici dominanti il pur misero mercato del libro in Italia, ne è per così dire depotenziato. Il libro è “La vita in tempo di pace” dell'architetto romano Francesco Pecoraro, che al pari di “Stati di grazia” dell’altro romano Davide Orecchio, ritengo tra i libri più belli letti quest’anno (e in molti diranno – e chi se ne frega!).
Un Paese familista e tribale dovrebbe avere il coraggio di riconoscersi come tale e di fondare apertamente il proprio esistere su famiglia e tribù, sul sentore malsano che regna nel recinto del parentame, della cosca… Perché l’unica materia che da noi è degna di rispetto attenzione e cura, non è in ciò che mettiamo in comune e che ci rappresenta tutti, ma nei cazzi nostri, negli interessi privati, nel lezzo di quelli che chiamiamo «gli affetti», nel chiuso delle nostre case, delle nostre stanze fetenti…

Qualcuno ne leggerà del “qualunquismo disperante”, qualche altro del “disfattismo da quattro soldi”, ma spesso le verità, ancor più se a farcele vedere sono nostri illustri connazionali, fanno molto male, ma richiederebbero un far di conto con la propria coscienza... sempre che una ci sia rimasta.

Martedì, 9 Settembre, 2014 - 00:07