La lettura come “bene rifugio”
In Italia, com’è noto, si legge poco o meglio sarebbe dire che ci sono dei lettori forti (pare che la soglia sia superiore ai dodici libri all’anno) e una buona percentuale la cui unica lettura è spesso limitata alla bolletta dell’Enel. E’ anche evidente che imporre a qualcuno di leggere è spesso la via diretta per fargli odiare i libri, e che altra cosa sarebbe far intendere i perché del piacere della lettura.
Lo scrittore spagnolo Javier Marìas - che spesso citerò – dice che leggere “…ci permette di comprendere un po’ meglio noi stessi e il mondo […], un romanzo non soltanto racconta, ma ci consente di assistere a una storia o ad alcuni eventi o a un pensiero…”.
Qualcuno non avvezzo alla lettura potrebbe obiettare che vivere le storie, gli eventi o i pensieri di un personaggio non abbia alcun senso, meglio sarebbe vivere il nostro tempo o per lo meno quello che ci è concesso, in maniera diretta e senza intermediari.
La risposta la fornisce lo stesso Marìas, che sostiene che ciò non può che “trasformarci in primitivi capaci solo di conoscenze pratiche” e inoltre aggiungo io, che non far tesoro delle esperienze altrui, anche quelle fatte secoli prima, ci costringerebbe ogni volta a partire da una tabula rasa, come se ad esempio arrivati alla lettera p dell’alfabeto si dovesse ricominciare ogni volta tutto dalla a.
Qualche altro obietterà che spesso fatti e personaggi narrati sono del tutto inventati, e ancora una volta ci viene in soccorso Marìas “…a ben vedere, con il passare del tempo ha assunto più realtà Don Chisciotte che qualunque altro dei suoi contemporanei o la Francia degli inizi del secolo scorso, più vera e duratura è senza dubbio quella che compare nella Ricerca del tempo perduto.”
Per concludere, alcuni testi sono parte di un patrimonio che ci consente di essere immersi nella tradizione e al contempo di dotarci di una stratificazione di storie che permetterà di muoverci in maniera critica nella realtà del nostro tempo.
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