La letterina dimenticata

Non so se ancora oggi sopravvive, da qualche parte, quella “tradizionale” bellezza che  faceva scrivere ai bambini una “letterina” da mettere sotto il piatto di “papà” il giorno di Natale. Se non sopravvive più mi dispiace, io ne ho scritte tante per tanti anni e tante ne ho ricevute per altrettanti anni. Una lettera, con disegnini e brillantini che veniva  nascosta sotto il piatto del papà, che la trovava casualmente verso la fine del pranzo di Natale tra meraviglia, stupore e incredulità. Una lettera piena di buoni propositi, piena di belle intenzioni  che veniva letta ad alta voce.
Erano tutte promesse, d’essere più buoni, più ubbidienti, di studiare di più. Insomma, tante cose belle, anzi bellissime che spesso però duravano troppo poco.
Quando è toccato a me farlo non so se m’ è riuscito bene, se mi sono stupito abbastanza, se mi sono meravigliato abbastanza nel chiedermi da dove mai quella lettera fosse arrivata, tra suggerimenti  e domande di quella quindicina di parenti seduti stretti intorno al tavolo. L’uva di quell’anno era stata ottima, quel buon vino, nero come il carbone, scorreva più del dovuto, tra brindisi ed auguri fatti più volte anzi, ogni volta che si alzava il bicchiere e per la verità si alzò sin troppe volte. Il tavolo era diventato un campo di battaglia, bucce di arance, mandarini e mandorle, foglie di cicorie e finocchi. Della tovaglia ben presto si perse ogni traccia, coperta da ogni cosa. Non avevamo previsto che quel buon vino di ottima annata, poteva avere degli effetti collaterali quali una “allegria immotivata” e una “lieve e momentanea” perdita di  memoria.
Fu così che, un po’ per il vino, un po’ per tutta quella “roba” che c’era sul tavolo, si persero  le tracce della letterina che era sotto il mio piatto e che ben presto fu sepolta da ogni cosa. Quando stavamo per alzarci dal tavolo e la nonna stava chiudendo la tovaglia per andare fuori a “sbatterla”, vidi una lacrima scendere sul viso di mio figlio.
Per tutta la serata era stato serio, serio, forse a ripassare nella sua mente la poesia che avrebbe dovuto dire subito dopo la lettura della “lettera”. Che dire, per quel che mi consentì l’effetto del vino, fermai la nonna che come me, ma per motivi diversi, a stento si manteneva in piedi. Feci finta di scorgere tra i rifiuti i contorni di una busta chiusa:                                                                     –  Aspetta, aspetta – dissi – che cos’è?  La presi agitandola per far cadere tutti gli avanzi che s’erano incollati sopra e diedi un sguardo a mio figlio che aveva ritrovato il sorriso. Bagnata, stropicciata e scolorita, quella lettera fu letta ad alta voce a tutti i parenti che stavano quasi per prender sonno. L’emozione fu raddoppiata dall’effetto del vino, scese pure qualche lacrima, poi alla fine della poesia un giro a distribuire bacetti a tutti i parenti che intanto avevano già il portafoglio aperto per il  “regalo”.
Riuscii anche a ricordare e dare notizia ai presenti che un Natale di quand’ero bambino avevo racimolato ben 130 lire che subito dopo persi giocando a sette e mezzo. Aveva aspettato in silenzio tutto il tempo in attesa di un momento che non arrivava, in attesa che la letterina arrivasse a destinazione, al suo pa’,  per accorgersi ad un tratto che stava per finire nella spazzatura.  Ci aveva messo tutto l’amore del mondo, aveva disegnato e colorato ogni minimo particolare, corretto e rifatto. Aspettava solo che qualcuno se ne accorgesse, che quella busta spuntasse fuori da qualche parte e quando ormai aveva perso le speranze, la gioia  e la busta furono trovate.
Gli effetti del buon vino d’annata, non tardarono a sparire. Intanto il tavolo era stato sparecchiato e pulito e noi tutt’intorno seduti con “cartelle” della tombola davanti e un po’ di fagioli da posare sui numeri estratti. Si vinceva sempre qualcosa dall’ambo in poi. Ogni tanto qualcuno si alzava a spiare se nevicava ancora.
Ci sono cose nella vita che lasciano il segno per sempre, quel Natale per me fu uno dei più belli. Per giunta, la neve si alzò e non di poco e noi in strada tra palle e pupazzi di neve. Qualche problema si presentò la sera, un po’ di tosse e qualche linea di febbre. Il miele guarì tutto.
Qualche giorno dopo eravamo più freschi che mai ad aspettare il nuovo anno. A mezzanotte smettemmo, momentaneamente, di giocare a tombola per fare un brindisi al nuovo anno e sparare un po’ di “fuochi” .  Tutto quel trambusto mischiò cartelle, numeri e fagioli. A me mancava solo un numero per riempire la cartella, ma per favore non chiedetemi quale. Non  lo ricordo più.

Venerdì, 26 Dicembre, 2014 - 00:07