La lettera di Peppe
“Fu intorno agli 80 anni che cominciai ad avvertire l’ebbrezza della mia inutilità, fu proprio intorno a quegli anni che cominciai a sentirmi leggermente vecchio. Ero precisamente nell’età in cui ti fanno passare avanti, ti fanno sedere, insomma l’età in cui si comincia a fare pena. Sino a qualche anno prima, quando dimenticavo qualcosa andavo in bestia, ma ormai dimenticare in fretta era diventato quasi normale e allora non ci pensavo più.
Ero ancora lucido, dinamico e ancora “scrivevo” e se anche non mi mancava nulla il fastidio della solitudine mi si era appiccicato addosso e non mi dava più pace. Abbandonai a malincuore la divisa di “nonno vigile”, quell’utilità di appena mezz’ora non mi bastava più e fu qualche mese dopo, dopo aver preso informazioni e visto, che decisi di andare in una non lontana “residenza per anziani”.
Lì avrei avuto ancora una vita sociale, in mezzo a tanti miei coetanei che già conoscevo e che non aspettavano altro.
In poche ore avevo già conosciuto tutti, vedevamo la TV, giocavamo a carte, leggevamo il giornale, insomma non ero mai solo. Le giornate passavano veloci ed erano sempre piene, aiutavo, ascoltavo e ogni tanto ancora “scrivevo”.
Durante tutto il giorno c’era un via vai di figli, di nipoti e parenti che venivano a trovarci portando pasticcini e pasticciotti. Vicino a me c’era quasi sempre “Ugo”, un maresciallo dell’esercito in pensione, suo figlio stessa arma, ancora giovane ed era già capitano. Era un paio di anni più giovane di me, i racconti di guerra erano i suoi preferiti e quelli che noi ascoltavamo più volentieri.
Il momento più bello della giornata era il pomeriggio, seduti a cerchio ci raccontavamo di noi, dei nostri figli, della nostra vita e c’era sempre da raccontare, da ricordare.
Mancava una settimana al compleanno di Ugo e senza che lui ne sapesse nulla, noi avevamo già cominciato tutti i preparativi per la “festa”. Per quella sera dovevano essere obbligatoriamente presenti tutti, medici, infermieri, portantini e tutti i parenti di tutti.
Forse esagerammo, sembrava una festa per festeggiare 18 anni, ma tutto andò bene, perfetto per come noi lo avevamo immaginato e organizzato. Eravamo tanti, eravamo tutti e Ugo per tutta la serata, salutò tutti gli invitati con il saluto militare.
Sinceramente fu una bella festa, di quelle che non vedevamo più da molti anni, di quelle che avevamo ormai dimenticato. Andammo a letto un po’ più tardi, un po’ più brilli e un po’ più stanchi.
Ci svegliammo un po’ più tardi, un po’ più storditi e un po’ più tristi, ma avevamo almeno assaporato la “gioia e l’allegria” che la festa ci aveva regalato.
Poi tornammo alla solita giornata di ogni giorno, a contare le ore e i giorni che ci restavano. Avevamo ancora un’immensa gioia di vivere ma sapevamo che lentamente si andava consumando.
Non ricordo più quante altre volte sentii il freddo dell’inverno ma quando arrivò l’ultimo lo riconobbi.
E così fu.
Quel che venne dopo non posso saperlo. Ho lasciato nascosta, non ricordo più dove, una lettera in una busta, solo degli appunti, solo dei ricordi.
Gli ultimi.
Forse la troveranno o almeno questo spero”.
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