La Faglia del Mar Morto svela i suoi segreti
Uno studio condotto dall’Istituto di scienze marine del Consiglio nazionale delle ricerche (Cnr-Ismar) in collaborazione con un team internazionale di scienziati, ha fatto luce sulla generazione di terremoti in rapporto alla geologia del territorio lungo la faglia sismogenica del Mar Morto, e ha evidenziato le analogie tra quest’area e altre faglie nel mondo soggette ad alto rischio sismico. I risultati, pubblicati sulla rivista Scientific Reports del gruppo Nature, sono basati su un modello strutturale diverso da quelli ipotizzati in precedenza, che prevede l'attivazione di un sistema apparentemente secondario ma in realtà molto attivo. “La Faglia del Mar Morto ha una struttura apparentemente semplice dal punto di vista geometrico: una spaccatura estesa oltre 1000 km lungo la quale si accumula stress, che oltre una certa soglia genera un sisma. Il tasso di movimento lungo questa faglia è noto con una buona approssimazione, ma se consideriamo solo questo sistema principale i conti non tornano, ci sono stati troppo pochi terremoti, ancorché molto distruttivi”, spiega Luca Gasperini, ricercatore Cnr-Ismar. “Una spiegazione può essere data dal fatto che strutture finora sconosciute, come la faglia che abbiamo scoperto e chiamato Faglia di Cafarnao, siano molto attive e accumulino parte di questo stress generando terremoti. L'ultimo terremoto particolarmente distruttivo, quello di Safed del 1837, è avvenuto probabilmente lungo questa nuova struttura. Quanto emerge ha profonde implicazioni nella valutazione del rischio sismico nella regione ma ha validità generale: questi sistemi di faglie appaiono mutevoli nel tempo e per valutarne il rischio sismico è necessario un quadro dinamico della loro evoluzione”. Approfittando della notorietà dell'importante sito storico, già intensamente studiato con tecniche paleo-sismologiche e archeo-sismologiche, i ricercatori hanno analizzato l’evoluzione strutturale della faglia situata a nord-est di Israele, situata al limite di placca che separa Africa e Sinai/Arabia. “L’obiettivo era svelare un grave problema tipico delle aree caratterizzate da faglie trascorrenti di grandi dimensioni, come quella di San Andreas in California e quella nord-anatolica in Turchia, ovvero l'ampia variabilità spaziale e temporale dei processi geologici in zone relativamente focalizzate e ristrette”, prosegue il ricercatore. “Siamo stati fortunati perché, durante la campagna di acquisizione dei dati, nell'area di studio si è verificato uno sciame di terremoti di bassa magnitudo, che ha consentito una caratterizzazione dinamica di quelle che in precedenza erano solo immagini geofisiche statiche”. Il team di ricercatori ha studiato il Mare di Galilea e i suoi dintorni utilizzando un approccio nuovo e multidisciplinare che include tecniche di imaging del sottosuolo a diverse risoluzioni, nonché analisi geochimiche e sismologiche. “Il Mare di Galilea, o Lago Kinneret, riempie una depressione situata a oltre 200 metri sotto il livello del mare e costituisce un'interessante opportunità per osservare in profondità processi geologici fondamentali utilizzando strumenti geofisici marini, che si sono dimostrati più efficaci rispetto agli equivalenti a terra”, conclude Gasperini.
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