La Biennale di Venezia parla anche galatinese
Dalle ore 17 di oggi e fino alle ore 18 del 15 settembre 2013 sarà possibile visitare “Lost in translation”, un’importante mostra del Museo d'Arte Moderna di Mosca, evento collaterale della Biennale di Venezia. Ad organizzarla è Antonio Geusa, galatinese. Un’altra di quelle persone di cui la città ‘Ombelico del Salento’ deve andare fiera.
Come riesce un quarantaduenne galatinese a diventare curatore di un evento così importante a livello internazionale?
“Come in tutte le storie di progetti importanti, lavorando sodo. La storia è lunga, ma la versione da Bignami fa più o meno così. Dopo il liceo mi sono iscritto a Lingue a Bari. Già convinto per inglese, scegliere la seconda lingua mi ha portato via il sonno per parecchie notti. Il giorno della scadenza della domanda ho lanciato la monetina ed è venuto fuori russo. Diamo la colpa al fato, dunque. Laurea nel cassetto, un anno di elmo di Scipio tra Barletta, Trani e Bari e poi Londra. Sei anni, umanità varia ed un’altra laurea, questa volta in Arte e Nuove Tecnologie alla University of London. Un’offerta dalla mia nuova università per un PhD ed il trasloco a Mosca per fare ricerca sulla storia della video arte russa – un lavoro da archeologo, dal momento che non ci stava ancora nulla di scritto. Ho cominciato ad organizzare mostre e a scrivere di arte contemporanea ed è venuto fuori che non me la cavo poi tanto male. Due anni fa il Ministero della Cultura russa, bontà loro, mi ha anche dato un premio come migliore critico/storico dell’arte dell’anno. Ho sempre lavorato come indipendente, mai su commissione, e ho sempre avuto a che fare con progetti non commerciali. A quanto pare le mie mostre non dispiacciono e la mia reputazione si è fatta sempre più solida. Un bel giorno, ho proposto al MOMA di Mosca – con quale avevo già lavorato diverse volte in passato - l’idea di mettere su una mostra che prendesse in esame il problema della intraducibilità nel villaggio globale, l’idea è piaciuta, è piaciuta anche all’Università di Ca’ Foscari che ha messo a disposizione i propri spazi e alla Biennale che lo ha accettato come evento collaterale... e così siamo partiti”.
Quali studi ha compiuto a Galatina?
“Dall’asilo (Sant’ Antonio) al Liceo (Scientifico, “Antonio Vallone”)”.
A quanti anni ha lasciato la città?
“Diciannove per “emigrare” a Bari dove ho studiato lingue. Poi, a 26, se non ricordo male, valigia rosso fiammante regalatami da mia sorella Simona e sono partito per Londra. Da lì a Mosca”.
Perché lo ha fatto?
“Perché per la mia indole era la cosa più consona da fare. Non l’ho fatto di certo perché a Galatina si viveva male. Credo che a quell’età avessi soprattutto bisogno di lanciarmi nel vuoto e mettermi alla prova”.
Quali paesi del mondo ha conosciuto?
“Regno Unito e Russia, principalmente”.
Quale era il suo sogno da giovane studente?
“Scrivere per il cinema”.
A 42 anni pensa di averlo già realizzato?
“No, non ho mai scritto per il cinema. Ma penso di esserci andato vicino”.
Lei ora vive e lavora a Mosca. Quali sono i suoi legami attuali con Galatina? Le manca il Salento?
“Per me Galatina è sempre e comunque “casa”, anche ora che vivo con moglie e pargoli lontano. Almeno due volte all’anno “scendiamo” per qualche settimana. Cosa mi manca? Mi manca soprattutto la mia famiglia, tutti. Mia madre, mio padre, le mie sorelle, i miei cognati, i miei nipoti, i miei cugini. Mi manca la caciara di 20 persone la domenica a tavola. Sono fortunato, ho una famiglia splendida e ci vogliamo bene. Per me che vivo lontano già da molti anni mi dà forza sapere che, comunque vadano le cose, hai sempre un porto sicuro a cui attraccare.
Si può anche vivere dall’altro lato del mondo, ma il posto dove sei nato e cresciuto è sempre parte di te. Sarebbe bruttissimo perdere questa convinzione".
Le piacerebbe mettere a disposizione della città la sua esperienza?
"Be’, se riprendiamo a parlare di sogni, sì, certamente mi piacerebbe fare una mostra a Galatina".
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