Il piacere di non lasciarsi
Sara 19 anni, George uno in più. Stessa scuola, stesso corso di studi universitario. Fu colpa del penultimo anno di liceo classico se i loro sguardi si incontrarono e poi si frequentarono. Sembrava una di quelle poche storie che non doveva finire mai e, invece, qualche anno dopo George era impegnato a studiare le parole che avrebbero dichiarato la prematura fine di quell’amore che nessuno dei due osò mai definire “grande”.
Non vi racconterò il tormento di George, timido qual’era. Troppo difficile confessarlo, trovare le parole, le parole giuste, quelle giuste per non ferire, per non dare dolore, ma doveva farlo, doveva uscire da quella situazione che continuava a far del male a entrambi.
Cominciò a pensare a inizio estate ed era già autunno, cominciava a cadere qualche foglia e qualche lacrima dagli occhi di George, quando trovò il coraggio ed anche le parole giuste. Confessò quello che in poche parole era la fine di un “amore”.
Spiegò in un crescendo tradito a tratti dall’emozione, che la colpa era solo sua, che star con lei era stato incredibilmente bello, che sarebbe rimasta una storia importante per sempre, ma che comunque l’amore era volato via spinto dal vento di quel malinconico giorno d’autunno. Che brutto era stato dire quelle parole, dare quel messaggio impietoso, ma quella sera le disse tutto d’un fiato quel che aveva già pensato mille volte di dire.
Aveva un po’ paura della reazione di lei, in fondo avevano condiviso gioie e dispiaceri, emozioni e delusioni e mentre parlava le fissava i suoi occhi verdi aspettando o forse sperando di veder spuntare una lacrima. Era pronto ad accettare insulti e cattiverie, reazioni e paroloni, pronto a dare a tutto una giustificazione e una ragione.
Ma il fatto fu che lei fece quasi una smorfia per trattenere un sorriso e quando non ne poté più lo fece esplodere con tutta la sua forza. Le parole che lui le aveva detto erano pari pari quelle che lei avrebbe voluto dire a lui. Uguali.
Erano, stati d’animo riflessi che si sovrapponevano con malinconica precisione.
Fu così che abbracciandosi quasi contenti, lei di più per essere stata appena anticipata, dissero entrambi: meno male, nessuno soffrirà. E fu proprio così. Quella sera il vento soffiò forte, molto forte, portando con se le ultime tracce di un finito amore. Avevano entrambi scoperto il “piacere di lasciarsi” senza dolore, senza rimpianti, senza rimorsi, avevano stranamente condiviso il piacere di dirsi “addio” in maniera quasi romantica, quasi poetica.
George e Sara si persero di vista, ognuno seguì i propri sogni, ognuno seguì le sue passioni separati da più di 1000 chilometri di distanza. Ma quando quel maledetto giorno si incontrarono di nuovo, entrambi trentenni, dopo essersi raccontata la loro vita nei minimi particolari, fecero fatica a salutarsi e quando lo fecero, lo fecero con un abbraccio che speravano non finisse mai.
Era un’altra volta autunno, il vento strappava tutte le foglie e nascondeva la strada. I colori del paesaggio uguali a quelli di qualche anno prima, uguali a quelli del giorno del loro “addio”.
Ma questa volta a entrambi scese qualche lacrima in più.
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