Il piacere dell'attesa
Quando uscimmo dall’agenzia, avevamo sciarpa, berretto e cappotto. Un vento gelido e tagliente soffiava forte in quella sera di fine febbraio. Pensare al mare era l’ultima cosa, ma noi l’avevamo già fatto in quella “agenzia viaggi”. Avevamo prenotato una vacanza in mezzo al mare da fare dopo un po’ di mesi. Uscimmo felici, il pensiero di quella vacanza sognata da tempo, ci riempiva di gioia, anche perché non succedeva spesso. Parlare del mare in un periodo “fuori stagione” diventò quasi normale, la prenotazione era lì a darti già l’idea di cosa portare, cosa fare, cosa non dimenticare, e quando qualcosa non girava per il verso giusto, arrivava puntuale il pensiero e insieme la gioia del “viaggio”. Insomma, si faceva più in fretta a buttare tutto alle spalle.
Fuori qualche fiocco di neve e noi a dare uno sguardo a camicie, magliette e abbronzanti. Cosa ci manca ? un po’ di tutto, un po’ di niente e intanto si cercava di risparmiare, era stato dato solo un acconto, bisognava saldare. Finì finalmente quel lungo e noioso inverno, arrivò la primavera e con la primavera arrivarono le giornate di sole ed il pensiero del “viaggio” diventò sempre più insistente. Ed era un pensiero stupendo, un pensiero che ti dava carica ed energia. Quando mancava ancora qualche mese, cominciammo a selezionare le cose da mettere in valigia. Le poggiavamo su un divano che ben presto si piegò tanto il peso. Mannaggia, altre spese, per qualcosa di elegante che ci mancava, sicuramente ci sarebbe stata qualche serata importante. Quando andammo in agenzia a saldare, il “viaggio” era ormai vicino.
Avevamo salito dalla cantina le valigie che non usavamo da un bel po’ mentre la tensione dell’attesa era arrivata alle stelle. Non si parlava d’altro, ogni tanto si aggiungeva sul divano qualcosa o si toglieva qualcos’altro. Mancavano pochi giorni alla partenza quando cominciammo a mettere le cose poggiate sul divano nella valigia. Avevamo messo troppe cose, non andavano tutte, dovevamo cominciare ad eliminare e non era per niente facile. Quando la valigia più grande finalmente, “sotto sforzo” si chiuse, eravamo già un paio di metri sopra il cielo, l’euforia ci aveva preso d’assalto e occupato completamente. Era tutto pronto, sapevamo gli orari di partenza e di arrivo, le cose da vedere, le cose da visitare, le cose da portare.
Si partiva da un posto lontano circa 200 chilometri dal nostro paese, dovevamo trovarci a mezzogiorno. Acqua ed olio erano a “livello” , il pieno di benzina pure. Quella notte non riuscimmo a prender sonno, il pensiero di dimenticare qualcosa ci accompagnò sino all’alba. Non ci venne in mente niente, per cui alle nove e dieci eravamo in strada a caricare le tre valigie in macchina.
Il percorso per raggiungere il luogo da cui dovevamo partire fu tranquillo, ci fermammo a fare colazione e a respirare un po’ quell’aria di sole che era arrivata puntuale il giorno della partenza. Arrivammo in anticipo e quando finalmente parcheggiai, scesi le valigie e prendemmo subito posto.
Avevo perduto un po’ di quella gioia che mi aveva accompagnato sino alla partenza. Il mio pensiero andò già al ritorno, andò già alla fine della vacanza, alla malinconia del ritorno, alla difficoltà di ricominciare, al pensiero di dover recuperare. A dire il vero, un lampo di malinconia mi passò davanti agli occhi, feci in modo che nessuno se ne accorgesse, eravamo partiti da mezz’ora, non avevo alcun motivo per non essere felice. Di tutta quella roba che avevamo portato, ne usammo ben poca. Delle mille cose che avevamo progettato di fare neanche l’ombra.
Il tempo di mettere a posto ogni cosa, di fare un giro per guardare intorno, scoprire qualcosa e già il primo giorno era andato via.
Ogni giorno che seguì ebbe la sua bellezza, solo la sera qualche minuto prima di dormire, arrivava puntuale un pensiero a ricordarmi che “un altro giorno era già passato”. -“Pazienza”- facevo io, cercando di non pensare e a volte facendo finta di dormire.
Senza neanche accorgerci, arrivammo ben presto all’ultimo giorno di vacanza. Ci volle tutta la mia abilità nel nascondere la mia amarezza, ci saremmo svegliati che era tutto finito, tutto alle spalle, un ricordo. Saremmo tornati alla vita di sempre, alla vita qualunque. Ci saremmo svegliati, avvolti da 1000 ricordi, 1000 ricordi da ricordare, 1000 ricordi da raccontare. Tornammo abbronzati e forse anche rilassati. Le cartoline che avevamo spedito arrivarono tutte qualche settimana dopo di noi.
Ne avevo spedito una anche a me, scritta con quella penna che parlava del “viaggio” e che avevo portato con me. Avevo scritto: “Il viaggio è stato tutto una sorpresa, ma non/mai quanto il PIACERE DELL’ATTESA”. Una rapida lettura, soliti occhi lucidi e tanti ricordi. Avevo fretta, stava per arrivare il giorno del mio “onomastico” dovevo preparare qualcosa, inventarmi qualcosa, dovevo “festeggiarmi”, volevo di nuovo immergermi con tutta l’anima nel piacere dell’attesa.
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