Il palo di Damocle
Nella foresta lontano dagli umani con le fronde, io, albero tra tanti, mi nutrivo di luce, di acqua, di quella cosa che alcuni chiamano anidride carbonica e godevo di buona salute. Le radici ben salde nel terreno mi sostenevano e mi davano anch’esse di che vivere. Un giorno improvvisamente fui estirpato, rasato, ridotto ad un palo e insieme ad altri miei compagni fui destinato a sorreggere un filo che agli umani serve per far sentire la loro voce senza gridare. Un po’ per la verità ero contento perché il mio lavoro era senz’altro utile a coloro che sono fatti a immagine e somiglianza del Creatore e forse anche la mia vita sarebbe stata più lunga.
Ma ahimè ora la mia radice artificiale, ridotta ad un unico ceppo, ha ceduto. Ho tanta paura di far male a qualcuno. Sono da un paio di mesi benevolmente sorretto dai miei due compagni vicini oramai stanchi anche loro dalla fatica. Ancora resisto e aspetto soccorso, fiducioso, perché pur oscillando ansimante al soffio di zefiro, ho sentito proprio con le mie fibre di legno la voce di alcune onde che sul filo rame parlavano di me, che ripetutamente chiedevano soccorso ai vigilanti dell’urbe e ai padroni delle informazioni a distanza.
(Indicazioni per Telecom: il palo è a 50 m dal nuovo ingresso del cimitero attaccato alla masseria Bici-Congedo)
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