Il filo rosso

Mio Figlio aveva un maglioncino rosso, lavorato a maglia dalle abili mani della nonna. Il giorno che gli fu donato, si smarrì in un sorriso dolcissimo che mi resta negli occhi. Fu di notte che decisi di partire, quando il tormento che mi attanagliava, si risolse nella decisione: avevo scelto dove andare, dove morire. Spiegai a tutti che ci saremmo imbarcati, alla ricerca di giorni nuovi in cui per morire bisognava prima vivere.
Tutti capirono. Mia moglie capì, mio figlio capì, mio figlio capì. Le nostre mani erano strette l’una con l’altra, sulla barca che ondeggiava. Su ogni cresta bianca si perdeva un giorno vissuto a Kobane, senza cha alcuna alba si aprisse agli occhi.
In mare, alla deriva, i giorni tremendi trascorsi nel terrore, si perdono, e la vita è solo acqua e mani strette al buio. E’ stato un attimo. Ora quell’attimo si ripete nella mente, ossessivo. Ora quell’attimo è la mia vita, senza passato, senza luce.
Quando eravamo in acqua, tra le urla straziate, ogni corpo sembrava rimbalzare, più in alto, più in alto alla ricerca della mano di un dio assente e silenzioso. Scuoto la testa in continuazione, sono lucido, ma vorrei impazzire.
Ho lasciato cadere la prima terra sulle bare affiancate e vedevo le loro mani tenersi ancora, strette e bagnate. Li ho riportati a casa ed aspetto che quel dio assente mi perdoni. Mi è rimasto il golfino rosso. Dal lembo della manica ha iniziato a sfilarsi, giro dopo giro, giorno dopo giorno, vedo il filo rosso allontanarsi, all’infinito. Per le strade, oltre i confini, tra i monti segnare un cammino.
Voglio pensare che mio figlio fosse quel dio assente, nel buio, tra le acque parlanti.
Io resto qui, ad aspettare. Ora non ha senso viaggiare.

Giovedì, 10 Settembre, 2015 - 00:07