Il colera a Galatina. Storia di donne e uomini coraggiosi
Tra il 1866 e il 1867 il Salento, come altre regioni d’Italia, fu fortemente colpito dal colera, malattia contagiosa causata dal batterio vibrio cholerae e trasmessa da acque ed alimenti infetti, la quale si manifesta con astenia, febbre, vomito e diarrea imponente che porta a enormi perdite di acqua. La morte sopravviene per complicanze della disidratazione.
Da fonti documentarie, da tradizioni locali ed anche da ricorrenze religiose, che si celebrano ancora oggi, sappiamo che dal febbraio 1867 la situazione sanitaria in alcuni centri del Salento andava sempre più aggravandosi, perciò le popolazioni invocavano anche l’intecessione dei Santi. A Matino, per esempio, il 27 febbraio ricorre ogni anno la festa di S. Giorgi piccinnu (ovvero ‘la piccola festa di S. Giorgio’), in quanto proprio il 27 febbraio 1867 avrebbe avuto inizio la liberazione del paese dal colera, allorchè la statua lignea del Patrono cominciò a sudare.
In quello stesso febbraio l’epidemia esplose violenta a Galatina, dove dal 21 ottobre 1866, cioè da poco più di tre mesi, si era insediata l’Amministrazione comunale presieduta da Giuseppe Galluccio, 2° sindaco dopo l’Unità d’Italia. Questi appena eletto aveva subito dovuto affrontare importanti problemi, tra cui un’incresciosa vertenza con l’Erario, che intendeva confiscare i beni patrimoniali delle Scuole galatinesi, sostenendo che gli stessi appartenessero all’Ordine degli Scolopi ( soppresso dal R.D. 7 luglio 1866), il quale invece li aveva solo amministrati per tredici anni, in qualità di gestore del Ginnasio-Convitto
Di tale argomento si era già occupata la precedente Amministrazione che, con i buoni uffici del prof. Pietro Siciliani (residente a Firenze, allora capitale del Regno), aveva potuto affidare la difesa degli interessi economici delle Scuole comunali all’avv. Luigi Samminiatelli, docente presso l’Università fiorentina e deputato al Parlamento.
Intanto, mentre per effetto dell’eversivo R.D. 7 luglio1866 erano stati soppressi anche i Frati Minori Riformati, i Frati Cappuccini e le Clarisse, i galatinesi per l’assistenza religiosa potevano sempre contare su 16 Canonici della Collegiata e soprattutto su almeno 24 Presbiteri della cosiddetta Ricettizia, dei quali fin dal 1852 era primus inter pares l’Arciprete Rosario Siciliani.
Purtroppo le suddette Autorità civili e religiose della Città alla comparsa dei primi casi di colera o per impegni amministrativi o per disorientamento, nel prendere i provvedimenti idonei ad evitare la diffusione del morbo, erano incerte al punto da non disporre la chiusura di scuole e chiese. Al contrario la Congregazione di Carità (C.d.C.), presieduta dal lungimirante filantropo avv. Orazio Congedo, la quale dal 1863 era succeduta nella pubblica assistenza all’antica Commissione degli Ospizi, nella consapevolezza che il modesto Ospedale cittadino (da essa amministrato) non era sufficiente a prestare assistenza ai sempre più numerosi colerosi, già il 17 febbraio 1867 con propria deliberazione sollecitò il Comune a richiedere per il ricovero degli stessi alle Autorità competenti l’ex Convento dei Frati Minori Cappuccini, che da poco era divenuto proprietà demaniale per effetto del sopraccitato decreto eversivo del Sovrano sabaudo. Nonostante questa tempestiva sollecitazione, il Consiglio Comunale, presieduto dal suddetto Sindaco, approvò circa due mesi dopo, il 14 aprile, la richiesta all’Erario dell’ex Convento con Chiesa e giardini annessi. A tale ritardo si aggiunse inevitabilmente quello dovuto ai tempi tecnici necessari per rendere i suddetti locali adatti ad accogliere i contagiati. Tali tempi fortunatamente furono ridotti al minimo dalla sollecita e fattiva opera di Lazzaro Zappatore, membro della C.d.C. ed esperto di gestione ospedaliera, che generosamente accettò di collaborare con l’Assessore, delegato dal Sindaco alla trasformazione dell’ex convento in lazzaretto (ovvero ospedale per i contagiati), che come tale potè però funzionare solo negli ultimi 45 giorni dell’epidemia, la quale, essendo durata oltre tre mesi, aveva provocato circa 500 morti in una popolazione inferiore a 10.000 abitanti.
Fra Carmelo da Galatina (al secolo Donato Moro fu Salvatore), ultimo Guardiano dei Cappuccini prima della soppressione dell’Ordine, nonostante avesse 65 anni, accettò di assistere gli ammalati moribondi ricoverati in quello che era stato il ‘suo convento’, sostenendo coraggiosamente lunghe veglie e disagi di ogni genere.
A numerose persone che, incuranti del pericolo di contagio, si distinsero nell’assistenza agli infermi, la Giunta Municipale, riunitasi il 3 novembre 1867, nelle persone di Giuseppe Galluccio -sindaco, Pietro Donato Siciliani - assessore anziano, Giuseppe Berardelli e Giacomo Galluccio, propose che fosse assegnata dal Governo la medaglia d’argento con l’effigie del Re, istituita con R.D. 28 agosto 1867, al fine di premiare i “benemeriti della salute pubblica”. Fra tali persone si ritiene opportuno ricordare:
· il medico dell’Ospedale Filippo Mandorino, che, oltrepassando i propri doveri professionali, si era distinto nella costante ed amorevole cura prestata ai contagiati;
· Lazzaro Zappatore, che con massima premura aveva fattivamentte coadiuvato l’Assessore comunale nel fornire al lazzaretto tanto gli oggetti di primo impianto, quanto tutto ciò che era occorso nei 45 giorni di funzionamento;
· la diciannovenne Cristina Giannelli di Matino, che volontariamente e senza mercede si era dedicata al servizio dei contagiati, come infermiera di aiuto alle Figlie della Carità, non curandosi dei pericoli per la propria persona;
· Vincenzo Garzja, che non si limitava a sfumicare (sic) le abitazioni infette, per cui era stato espressamente incaricato dal Municipio, ma aiutava anche in tutti i modi gli infermi, visitandoli nelle loro abitazioni e confortandoli, sino a quando egli stesso fu colpito dal morbo, ma guarì;
· il vice brigadiere Valsecchi Giuseppe ed il carabiniere Costa Giovanni della Stazione di Galatina, entrambi di 26 anni, che con molta alacrità e perseveranza si erano distinti sia nel ricercare gl’infermi abbandonati nelle loro case per accompagnarli all’ospedale colerico, sia nel curare il sollecito trasporto e setterramento dei cadaveri nel Cimitero; si erano preoccupati inoltre di lenire le sventure della popolazione non solo con buone parole e consigli, ma anche con aiuti in denaro, contribuendo all’apposita sottoscrizione promossa a favore dei contagiati;
· il maggiore dei reali carabinieri Fantoni Patrizio, comandante della Divisione di Lecce, che visitò il Comune e incoraggiò con gentili maniere il Municipio e i suoi dipendenti a perseverare nel penoso e duro compito che sventuratamente avevano davanti, e che onorò di una sua visita il lazzaretto e i poveri a domicilio, confortando tutti con opportune parole ed amorevoli consigli;
· il luogotenente dei carabinieri Pirola Giuseppe, comandate della Luogotenenza di Galatina, che aveva costantemente collaborato col Municipio al fine di aiutare i colerosi, ai quali forniva anche aiuti in denaro, visitandoli personalmente; inoltre con autorevolezza aveva sempre incoraggiato i carabinieri a resistere alle lunghe fatiche e alle non poche veglie;
· il sacerdote ventiquattrenne don Salvatore Tondi che, andando oltre i doveri dettatigli dalla carità sacerdotale, fu solertissimo nell’assistenza ai moribondi, sopportando coraggiosamente lunghe veglie e grandi disagi nell’intera durata del colera.
Si noti che in questo breve elenco di persone che notoriammente si prodigarono per i contagiati durante l’epidemia del 1867 ci sono i nomi di due soli ecclesiastici: dell’ex guardiano dei Cappuccini e del giovanissimo don Salvatore Tondi, unico rappresentante del numeroso clero locale.
L’anno dopo, con verbale del 26 febbraio 1868, fu formalizzata e resa definitiva la cessione al Comune di Galatina da parte del Fondo per il Culto (rappresentato del Ricevitore del Registro) di “ fabbricato e Chiesa, nonché le parti redditizie (ovvero 4 giardini di complessivi ettari 1,87), dell’ex Convento dei PP. Cappuccini di Galatina”.
Due giorni dopo, con lettera prot. n. 77, il sindaco Giuseppe Galluccio autorizzò il presidente Orazio Congedo a prendere possesso, senza alcuna formalità dei suddetti immobili, che il Consiglio Comunale con la delibera del 14 aprile 1867 aveva esplicitamente richiesti per la Congregazione di Carità. Questa successivamente riservò a se stessa le parti redditizie e trasferì la proprietà dell’intero edificio conventuale all’Ospedale.
Diciotto anni dopo, in data 15 aprile 1886, la C.d.C. deliberò il restauro dell’ex Convento “per tenerlo pronto ad ospedale per malattie epidemiche”.
I lavori di restauro, autorizzati il successivo 5 maggio dalla Deputazione Provinciale, comportavano una spesa di £ 1.549,59 e vennero regolarmente eseguiti. Proprio in tale occasione all’inizio del viale che porta allo stabile, fu collocata una statua in pietra leccese di S.Lazzaro, vescovo di Marsiglia, patrono degli ammalati contagiosi.
Col suddetto restauro la C.d.C. ottemperò all’obbligo di convertire lo stabile ad uno degli usi previsti dall’art.20 de R.D. 7 luglio 1866. Quindi l’Ospedale di Galatina a buon diritto avrebbe conservato la proprietà dell’ex Convento dei Cappuccini, purché lo stesso fosse rimasto destinato all’eventuale ricovero di ammalati contagiosi.
In seguito fortunatamente non ci furono più epidemie, per cui l’uso specifco dello stabile fu in pratica dimenticato. Ma la Conservatoria dei Registri Immobiliari di Lecce, su richiesta del Ministero dell’Interno il 28 agosto 2000 ha emesso la “nota di trascrizione n.25679”, per la quale:
“…la Chiesa dello Spirito Santo con l’annesso Convento, intestati in Catasto erroneamente in Ditta Ospedale Civile di Galatina, nonché… i terreni circostanti, erroneamente intestati in Catasto in Ditta Ente Comunale di Assistenza di Galatina, vengono trascritti e volturati al Fondo Edifici di Culto a termini degli artt. 54 e 55 della legge 20 maggio 1985, n.222.”
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