Gruppo coordinato da una ricercatrice galatinese scopre un nuovo bersaglio di terapie ‘di precisione’ per la cura del tumore del colon retto

Malù Coluccia ha collaborato con Michele Maffia, docente dell’Università del Salento

Un progetto di ricerca finanziato da AIRC (Associazione Italiana per la Ricerca sul Cancro) e coordinato da Malù Coluccia, ricercatrice galatinese, in collaborazione con Michele Maffia, docente dell’Università del Salento e responsabile del Laboratorio di Proteomica Clinica del Polo Oncologico “Giovanni Paolo II” di Lecce, ha scoperto un nuovo bersaglio di terapie ‘di precisione’ per la cura del tumore del colon retto, una patologia che resta in cima alla classifica dei big killer, nonché la seconda per frequenza in Italia e nel mondo.
È vero, non esiste il farmaco anti-cancro. Ogni tumore è una patologia complessa con un caratteristico identikit di alterazioni molecolari sulla base delle quali è possibile sviluppare razionalmente delle terapie mirate, più efficaci e meno tossiche. Questo è l’obiettivo dell’oncologia di precisione (targeted therapy) che punta a colpire le cellule tumorali senza danneggiare le cellule sane, mettendo in luce i processi biologici che il tumore può utilizzare selettivamente per diventare più resistente alle terapie, sia radio/chemioterapiche tradizionali sia basate sull’assunzione di farmaci molecolari di nuova generazione.
Nel caso del cancro del colon retto, una proteina chiamata beta-Catenina è per così dire ‘accesa’, cioè mostra un’espressione esagerata e non fisiologica solo nelle cellule tumorali. Malgrado il ruolo chiave che la beta-Catenina riveste nelle fasi precoci di insorgenza di questo tumore, farmaci intelligenti diretti con precisione contro questa proteina hanno finora mostrato una limitata efficacia terapeutica, riuscendo a bloccare la proliferazione ma non la sopravvivenza delle cellule cancerose.
Il progetto di ricerca ha scoperto il legame di beta-Catenina con un circuito molecolare che può stabilizzare dall’interno la cellula tumorale rappresentando, proprio per questo, un nuovo “tallone d’Achille” specifico del cancro al colon-retto.
I risultati della ricerca, pubblicati a fine gennaio 2018, sulla prestigiosa rivista Oncogene del gruppo Nature, dimostrano che l’inattivazione prolungata della beta-Catenina innesca nelle cellule tumorali una risposta metabolica adattativa, nota in termini tecnici come autofagia che le costringe a praticare l’autocannibalismo, ovvero cominciano a degradare se stesse pur di sopravvivere. La regolazione di questo particolare meccanismo di auto-protezione dipende in modo specifico da variazioni nei livelli di espressione e nella distribuzione intracellulare di un’altra proteina, NHERF1, che questo studio correla per la prima volta direttamente allo stato di attivazione oncogenica della beta-Catenina.
I ricercatori leccesi, grazie anche alla collaborazione con il Dipartimento di Chimica e Tecnologie del Farmaco dell’Università La Sapienza di Roma, hanno fatto un passo ulteriore sviluppando razionalmente (attraverso studi computazionali e di strutturistica) un nuovo inibitore di NHERF1 senza effetti significativi sulle cellule sane, capace invece di uccidere le cellule del cancro al colon-retto quando utilizzato in combinazione con antagonisti della beta-Catenina.
Sul piano clinico queste scoperte, per ora limitate a modelli sperimentali in vitro, incoraggiano una sperimentazione nei pazienti per valutare se la combinazione di inibitori di beta-Catenina e NHERF1 possa diventare un nuovo, efficace protocollo terapeutico nelle fasi precoci della malattia. Di fatto, questo studio già identifica in NHERF1 un nuovo marcatore di resistenza nel cancro del colon retto, utile per selezionare meglio i pazienti da trattare con farmaci attualmente in uso nella pratica clinica.

Lunedì, 5 Marzo, 2018 - 00:07