Gli errori degli enzimi
Lo stress ossidativo – causato dai radicali liberi e inevitabilmente legato al trascorrere del tempo - è responsabile di circa 10.000 lesioni al Dna ogni giorno per cellula. Le 'Dna polimerasi umane beta e lambda' sono gli enzimi essenziali per consentire alla cellula di tollerare questi danni: sintetizzano nuovi pezzetti di Dna laddove l’informazione originaria si era persa.
Il gruppo di ricerca dell’Istituto di genetica molecolare del Consiglio nazionale delle ricerche (Igm-Cnr) di Pavia, coordinato da Giovanni Maga, in collaborazione con il laboratorio dell’Università di Zurigo diretto dalla ricercatrice Barbara van Loon, ha dimostrato che questi enzimi riparatori possono commettere a loro volta errori e creare così un tratto di genoma ‘ibrido’, in cui Rna e Dna si 'mescolano'. Lo studio, finanziato dall’Associazione italiana per la ricerca sul cancro (Airc), è pubblicato sulla rivista Nature Communications.
“Dna e Rna sono catene composte da mattoni differenti: i deossinucleotidi per il Dna e i ribonucleotidi per l’Rna. Il primo conserva e trasmette l’informazione genetica in generazioni successive di cellule, mentre l’Rna consente la lettura e la traduzione di tale informazione all’interno di ogni cellula nel corso della propria esistenza”, spiega Maga. “Per assemblare ciascun tipo di mattone esistono enzimi specifici, le Dna e le Rna polimerasi, che sintetizzano rispettivamente le catene di Dna e di Rna. Con questo lavoro abbiamo dimostrato come i danni causati dai radicali liberi presenti sui tratti di genoma ibrido Dna/Rna vengano riparati meno efficientemente di quanto pensassimo, promuovendo di fatto l’accumulo di mutazioni nel genoma”. Se infatti, nel tentativo di operare una riparazione, le Dna polimerasi utilizzano ribonucleotidi invece che deossinucleotidi, si genera un errore ulteriore. “I risultati ottenuti consentono pertanto di ipotizzare che i meccanismi fisiologici di riparazione dello stress ossidativo, operati dalle Dna polimerasi beta e lambda, in contesti particolari possano anche contribuire allo sviluppo di patologie come tumori o malattie neurodegenerative”, conclude il ricercatore dell’Igm-Cnr.
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