“È il tempo di reimpostare la rotta della vita verso te, Signore, e verso gli altri”

Lo scorso 27 marzo, in un momento di straordinaria preghiera sul sagrato di Piazza San Pietro, Papa Francesco pronunciava, davanti alla Salus Populi Romani e al Crocifisso ligneo della Chiesa di San Marcello al Corso, una significativa omelia sul Vangelo di Marco, nel quale si narra che, nel bel mezzo di una inaspettata e furiosa tempesta, mentre i Discepoli sono impauriti e smarriti, Gesù dorme sereno a poppa, la parte della barca che per prima va a fondo, fiducioso nel Padre. Quando viene svegliato dai Discepoli, i quali Lo invocano dicendo “Maestro, non Ti importa che siamo perduti?”, Gesù, dopo aver calmato il vento e le acque, si rivolge agli stessi, con tono di rimprovero, rispondendo: “Perché avete paura? Non avete ancora fede?” Lo stesso Vangelo, seppur con un significato, un destinatario e un periodo storico assolutamente differente, è stato oggetto di trattazione da parte di Papa Benedetto XVI e del Cardinale Robert Salah, nella magistrale riflessione dal titolo “Dal profondo del nostro cuore”, sul tema della persistente crisi del sacerdozio ai nostri tempi, prendendo spunto dal Sinodo per l’Amazzonia. Gli autori partono da un basilare concetto racchiuso in una semplice quanto incisiva espressione: “Silere non possum! Non posso tacere!”, ritenendo necessario il loro intervento per chiarire determinati aspetti che potrebbero mettere in discussione e far vacillare la fede dei sacerdoti e, più in generale, dei cristiani. Non si è trattato di pubblicare un articolo o degli appunti personali, bensì di rendere nota la regolare corrispondenza intercorsa tra Papa Emerito e il Cardinale Salah, utilizzata per condividere i rispettivi punti di vista, eventuali speranze e preoccupazioni in materia, ripercorrendo le orme dello scambio epistolare tra Sant’Agostino e il Vescovo donatista Massimino. Come anticipato, gli autori riprendono il Vangelo di Marco, sostenendo che nel cuore della tempesta, mentre il Signore dorme, la fiducia degli Apostoli sembra venir meno, impauriti e arrendevoli ai “flutti del dubbio e dell’errore, (…), ai flutti del relativismo che sommergono da ogni lato la barca della Chiesa”, ritenendo, però, che soltanto coloro che dispongono di una fede radicata si trovano in una “pace profonda”, perché sono consapevoli che la barca è governata da Gesù, che non potrà mai affondare e che li condurrà al porto sicuro della “salvezza eterna”. Analizzando per gradi il trattato, notiamo che inizialmente Papa Benedetto XVI compie un breve excursus sulla figura del sacerdote, passato dall’essere di discendenza familiare nell’antico testamento, al ricevere una diversa e definitiva impostazione e formazione del culto religioso caratterizzata da una nuova forma di adorazione di Dio: questo passaggio risulta perfettamente raffigurato nella distruzione del Tempio di Erode che, nonostante sia stata causata dagli uomini, è assunta positivamente da Dio, in quanto ha determinato il venir meno dei muri sociali eretti nel corso dei secoli. Ed è proprio nel superamento dei dogmi proprio del Tempio di Erode che rinveniamo una nuova formulazione del culto religioso e, nello specifico, del concetto di sacerdozio: Dio utilizza l’atteggiamento sbagliato della gerarchia sacerdotale dominante per costruire una differente forma di adorazione basata sull’amore verso il prossimo e non verso se stessi. Momento simbolo di questo mutamento è costituito dall’Ultima Cena, nella quale Gesù dona se stesso, nella sua carne e nel suo sangue, agli Apostoli, rappresentando, di fatto, una sorta di anticipazione della Sua crocifissione, morte e resurrezione e, quindi, di trasformazione di “un atto di crudeltà umana in un atto di donazione e amore”: Gesù compie il rinnovamento del culto cristiano trasformando il peccato degli uomini in un atto di momento di perdono. La cena – sostiene Papa Benedetto XVI – costituisce il dono di Dio fatto agli uomini nell’amore di colui che perdona e che permetterà all’umanità di accogliere, a sua volta, il suo gesto e di restituirlo a Dio stesso nell’immensità del Suo amore. Pertanto, il presbitero neo-testamentario è colui che medita sulla Parola di Dio, non limitandosi ad essere un “artigiano del culto”. Il Verbo è divenuto carne e meditarlo significa ricevere nutrimento come il pane donato dal cielo attraverso la Santissima Eucarestia. È sempre un nuovo e continuo abbandonarsi alla Parola di Gesù, ed è questo senso di totale abbandono che consente agli uomini di affrontare il cambiamento, la trasformazione per mezzo della Croce. Infatti, “La croce di Gesù Cristo è l’atto di amore radicale nel quale si compie realmente la riconciliazione tra Dio e il mondo del peccato”, dichiara il Papa emerito. I nuovi ministeri riformati non saranno basati sulla discendenza familiare della gerarchia sacerdotale della famiglia di Israele, secondo cui la continuità veniva assicurata da Dio, essendo Lui a donare i figli ai genitori, ma su una vocazione ricevuta da Dio e che l’uomo deve essere in grado di riconoscere. La nuova dimensione del sacerdozio diventa necessariamente Dio, “il suolo della sua esistenza, la terra della sua vita”, la cui chiamata si concretizza nella vita dedicata al mistero dell’Eucarestia: il sacrificio liturgico e l’essere al servizio del prossimo divengono un quid unico. Il senso più profondo e intimo dell’Eucarestia è rappresentato dalla terra, dalla porzione di terreno che diviene propria del sacerdote e per la quale è possibile affermare: “Per me la sorte è caduta su luoghi deliziosi; si, la mia eredità è magnifica”. Il sacerdote vive la sua esistenza in contatto con il mistero divino che esige un’esclusività per Dio, escludendo qualsiasi altra tipologia di legame, quale il matrimonio, atteso che il sacerdozio assorbe l’uomo nella sua interezza al servizio e a totale disposizione del Signore. Di fatto, il Vangelo secondo Luca, al versetto 5,11, ricorda che “Essi lasciarono tutto e lo seguirono”: è evidente che la chiamata al sacerdozio non può essere contemplata senza questo segno di libertà e di assoluta rinuncia a qualsiasi compromesso. Inoltre, gli elementi essenziali per l’attività sacerdotale sono rappresentati dalla continua preghiera liturgica, dalla meditazione e dalla adesione alla Parola di Dio nonché dalla totale rinuncia ai beni materiali. È evidente, quindi, che il sacerdote deve compiere contemporaneamente un servizio a Dio e agli uomini: deve, quindi, alla celebrazione dell’Eucarestia, che costituisce la sua funzione principale, accostare l’importanza della preghiera, intesa quale “una realtà prioritaria da imparare di nuovo e sempre più profondamente alla scuola di Cristo e dei Santi di tutti i tempi”. Il sacerdozio è una risposta ad una vocazione personale, e la preghiera diventa un dialogo intimo e continuo tra Dio che chiama e l’anima del sacerdote che risponde. E ancora il sacerdote deve essere un uomo che vigila, che deve stare in guardia di fronte al potere incalzante delle tenebre e del male, deve tenere sveglio il mondo dei cristiani nel nome e nella luce di Dio: deve essere dritto di fronte alle correnti del tempo, dritto nelle verità e nel costante impegno alla ricerca del bene. Proseguendo con la disamina della crisi della fede del sacerdozio, il Cardinale Sarah affronta il discusso argomento della possibilità di aprire all’ordinazione agli uomini sposati, che, riprendendo le sue parole, rappresenterebbe “una catastrofe pastorale”: tesi assolutamente condivisibile, atteso che la celebrazione dell’Eucarestia non costituisce il compimento di un mero rito sacrificale, ma rappresenta l’offerta di se stesso in sacrificio sull’esempio di Cristo, dettata da un amore incondizionato, ed è proprio a partire da Dio che deve rendersi disponibile per svolgere l’attività pastorale nei confronti della comunità di fedeli. Ne consegue che ordinare un uomo sposato significherebbe ridurre il sacerdozio ad una mera funzione rituale e, al tempo stesso, sminuire anche la dignità del sacramento del matrimonio, il quale è stato riconosciuto dal Concilio Vaticano II “la via ordinaria di santità della vita coniugale”. Inoltre, San Giovanni Paolo II, nell’esortazione apostolica “Pastores dabo vobis”, ritiene che il sacerdote, con l’ordinazione sacra, configura e rappresenta Gesù Cristo, capo e sposo della Chiesa, la quale vuole e deve essere amata in maniera esclusiva, totale e senza condizionamenti, come Gesù Cristo, a suo tempo, capo e sposo, l’ha amata. Di fatto, il sacerdote, trovatosi davanti all’Ostia sull’altare, si identifica con Gesù Cristo, diventa non semplicemente un Alter Christus, me egli è veramente Ipse Crhristus, è Cristo stesso, che rinnova il divino sacrificio del calvario. Ecco spiegato il motivo per cui sarebbe inammissibile e inaccettabile l’ordinazione di un uomo sposato, in quanto anche il sacramento del matrimonio costituisce un dono, un donarsi totalmente alla sposa amata. Di conseguenza, è evidente che non si possa amare senza limite e donarsi integralmente a due entità distinte e separate contemporaneamente. E ancora, secondo Papa Francesco, un cristiano battezzato e cresimato deve diventare un “discepolo missionario”, atteso che lo stesso viene inserito nel corpo mistico attraverso il sacramento del Battesimo e successivamente fortificato in virtù dello Spirito Santo per mezzo della Cresima. Si evince che i laici, per natura, sono deputati all’apostolato e a diffondere il Vangelo, essendo Cristo stesso che lo annuncia avvalendosi dei cristiani. Quindi, è lecito domandarsi, per quale motivo si deve, a tutti i costi, clericarizzare i laici, considerando che possono e devono svolgere, per indole, la propria attività pastorale seguendo gli insegnamenti e la Parola di Gesù Cristo. Per concludere, condividendo in toto le tesi sostenute nella magistrale riflessione di Papa Benedetto XVI e del Cardinale Sarah, è possibile affermare convintamente che essere sacerdoti significa, oltre che essere ministro di una funzione religiosa, essere uomini di preghiera assidua, umile e fiduciosa, essendo detto aspetto, unitamente al mistero dell’Eucarestia, il momento più importante nella vita sacerdotale, nel quale agisce con maggiore efficacia la grazia dello Spirito Santo, in quanto se il sacerdote non è interiormente in comunione con Dio, non può donarsi alla gente della comunità. Concetto che può essere riassunto con l’espressione “Dominus Pars”, “tu sei la mia terra”, tenendo a mente che, nei momenti di crisi della spiritualità e del sacerdozio, come gli Apostoli in balia della tempesta, i sacerdoti non devono avere paura ma devono riporre la loro fede in Gesù Cristo, che li accompagnerà in un porto sicuro. Ed infatti, ritengo particolarmente significativo il passaggio di Papa Francesco nel recente momento di preghiera in piazza San Pietro, afferente per molti aspetti con le trattazioni degli autori della riflessione, seppur pronunciate in un contesto diverso, in quanto occorre prendere piena consapevolezza, quale di uomo di profonda fede, che “È il tempo del nostro giudizio: il tempo di scegliere che cosa conta e che cosa passa, di separare ciò che è necessario da ciò che non lo è. È il tempo di reimpostare la rotta della vita verso te, Signore, e verso gli altri”.

Venerdì, 22 Maggio, 2020 - 00:06