"Don Tonino dal Paradiso si è affacciato per vedere la sua gente del Salento"
“Cari fratelli, sorelle, amici: tanti, vicini, lontani. E’ consolante e vero poter ripetere: “Congregavit nos in unum Christi et hominum amor”. Ci ha portati qui, a Lecce e in questa Chiesa Cattedrale, l’amore per Cristo e l’amore per gli uomini che vogliono, domandano, invocano faticano , soffrono per la pace.
Care autorità che avete accolto il nostro invito per chiedere , servire e lottare per la pace: di questa pace che è dono di Dio agli e per gli uomini: siate con noi. Di essa autentici costruttori e testimoni.
Cari presbiteri, diaconi, persone consacrate: non sarebbe piena la nostra gioia senza la vostra presenza che testimonia un diuturno e generoso servizio a Dio e ai fratelli.
Cari fratelli vescovi: grazie per il dono della vostra presenza, della vostra parola, della vostra preghiera.
All’anno che vive i suoi ultimi momenti segue l’inizio del nuovo che nella celebrazione della Solennità di Maria SS. Madre di Dio, ci riporta al grande giorno del Natale e al segno che l’Angelo aveva indicato ai pastori di Betlem: “Troverete un bambino avvolto in fasce adagiato in una mangiatoia” (Lc2,12). Della ricchezza della Parola che ci è stata proclamata, mi piace sottolineare e ridire ad alta voce a tutti voi quello che ho visto, ho ascoltato, ho toccato con le mani della fede: dalla lettera ai Galati: “Quando venne la pienezza del tempo, Dio mandò il suo Figlio, nato da donna, nato sotto la legge” (Gal4,4); dal Vangelo: I pastori “dopo averlo visto , riferirono ciò che del bambino era stato detto loro” (2,17); dalla prima lettura dal libro dei Numeri: “Il Signore ti conceda pace” (Nm6,2);
a. La pienezza del tempo
L’ingresso del Figlio di Dio nella nostra storia è pienezza del tempo perché ‘pone l’ultima misura al lungo periodo di attesa che l’ha preceduta’. Non è il compimento del tempo , non è lo scadere del termine fissato. E’ la storia che giunge al momento pieno. Non è solo un punto fermo. E’ la raggiunta perfezione del tempo che si apre all’ingresso dell’Eterno.
La donna, la Vergine Maria, non è un creatura sottratta al tempo, posta al di fuori di una dimensione imprescindibile di ogni esistenza umana. Siamo al punto nodale della rivelazione. Termina l’attesa, inizia il compimento. Entriamo nell’orbita della pienezza oggettiva, messianica ed escatologica, del tempo. Termina il tempo della schiavitù, inizia quello della liberazione.
b. “Riferirono ciò che del Bambino era stato detto loro
I pastori non nulla di proprio. L’Angelo li ha costituiti testimoni. Dovranno raccontare quello che a loro è stato detto: “Oggi, nella città di Davide è nato per voi un Salvatore, che è Cristo Signore” (Lc2,11). Possiamo immaginare Maria e Giuseppe, ascoltatori attenti, stupiti, interessati di quanto questi anonimi, poveri, umili e sconosciuti visitatori, dicono del loro Bambino. Maria non è la sola a ricevere il messaggio dei pastori, ma è la sola che lo medita, che cerca di penetrarlo nella fede.
L’annunzio oggi è per noi. A noi è rivelato il mistero di questa nascita. Per noi è nato un Salvatore. Siamo invitati a riferire quello che nella fede ascoltiamo, vediamo, tocchiamo.
c. Il Signore ti doni pace
Questa sera ci siamo messi in cammino, sulla strada, come i pastori per ridire, nella comune scelta di un impegno, che il dono della pace che gli Angeli cantano a Betlem, non può essere egoistico possesso di pochi e fortunati privilegiati ma deve raggiungere ogni uomo destinatario del compiacimento e della benevolenza di Dio.
Di quale pace abbiamo bisogno?
Benedetto XVI nel messaggio per questa XLVI Giornata Mondiale della pace ha scritto che necessita la “pace con Dio, nel vivere secondo la sua volontà, la pace interiore con se stessi e pace esteriore con il prossimo e con tutto il creato” (n.3).
Questa sera, in questo nostro camminare per la pace vogliamo privilegiare un aspetto di questa “pace esteriore con il prossimo” che ha i volti e i nomi dei 1300 fratelli e sorelle detenuti nella Casa Circondariale di Borgo San Nicola qui a Lecce. Sono stato a trovarli e a pregare con loro e per loro, la sera della Vigilia e la mattina del Natale: volti tirati, visi sofferti e tristi, domande e attese inevase.
Il gesto che sta sottolineando il nostro ‘cenone alternativo’, il corrispettivo della cena ‘saltata’ che andrà a questi nostri amici, vorrà dire che la loro vita, per certi versi espropriata a causa di condizioni umilianti, rientra per noi in quella lotta per la pace che è impegno per una pienezza di vita a loro in qualche modo sottratta, strana forma legalizzata dell’ “occhio per occhio”.
La pace è il dono che ci abilita ad esserne autentici operatori perché amano, difendono e promuovono la vita umana in tutte le sue dimensioni; personale, comunitaria e trascendente “ (n.4), liberandola dai suoi primi nemici quali la dittatura del relativismo: una vita morale in cui tutto è lecito e un modello economico che guarda solo agli interessi finanziari e dimentica l’uomo che vede nella libertà dei mercati il vero parametro credibile dello sviluppo.
Essere operatori di pace, secondo la beatitudine del Vangelo, significa ricercare il bene dell’altro, tutto il bene. Il nostro impegno non è un sognare o un correre dietro a utopie accattivanti, né può ridursi allo spazio interessante e provocatorio di una marcia.
L’impegno per la pace è risposta a una vocazione. E la vocazione è l’avventura di una vita. Se questa sera abbiamo capito e ci siamo convinti che questa è l’avventura da correre, ora siamo chiamati a riprendere il cammino per le nostre strade, per le strade del mondo per andare a raccontare quello che qui abbiamo visto, ascoltato, pregato.
In quest’avventura abbiamo bisogno di una guida esperta, di un sostegno sicuro, di un modello vero: è la Santa Madre di Dio, è la “Vergine dell’attesa, donna di frontiera, donna del popolo, donna feriale, donna vera, donna dei nostri giorni, secondo felici espressioni del nostro profeta di pace, Mons. Tonino Bello.
Penso proprio che anche se di sera, il Signore avrà aperto la finestra che dal paradiso guarda Lecce invitando don Tonino ad affacciarsi per vedere la sua gente, quella del Salento, intenta a pensieri e propositi di pace. Maria di Nazareth allora non è distante, non è assente, sa prenderci, con tenerezza materna, per mano e accompagnarci lungo i sentieri della vita. Ci affidiamo a lei, ben convinti che fidandoci e vivendo della parola del Figlio, otterremo il dono che questa sera, con insistenza e coralmente, abbiamo chiesto al Principe della Pace, il Bambino di Betlem:
Signore Gesù, ai tuoi Apostoli hai detto che ci lasciavi la pace, la tua pace, non quella che il mondo sa offrire con i cosiddetti trattati di pace, frutto di innumerevoli vittime di guerre, di stragi, di violenze, di soprusi, di emarginazioni, di annientamento della dignità e della bellezza della tua immagine stampata su ogni volto di uomo e di donna. Non guardare alla miseria dei nostri peccati ma alla fede della tua Chiesa, dei martiri, dei testimoni, e dona a questo mondo, che attende e domanda, unità e pace secondo la tua volontà.
+ Domenico Umberto D’Ambrosio
Arcivescovo Metropolita di Lecce
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