“Crazy for football”, un lieve viaggio nella malattia mentale

Il punto di vista degli esperti e quello dei pazienti psichiatrici. Storie di vita vissuta e prospettive scientifiche si sono sovrapposte ieri mattina nel congresso “Strategie sostenibili per la riabilitazione in salute mentale: opportunità ed esiti”, evento curato da Paola Calò e Tiziana De Donatis e legato al torneo internazionale “La testa nel pallone” e, come questo, organizzato dal Dipartimento di Salute Mentale della Asl di Lecce.
Nel Multisala Massimo, gremito di addetti ai lavori e da 350 studenti di Istituti superiori e medi di Lecce e provincia, il tema non semplice della malattia mentale è stato però affrontato con la chiave di lettura più lieve, quella della divulgazione: utile al confronto tra psichiatri e comprensibile anche per i più giovani.
Nel loro “linguaggio”, infatti, le immagini contano forse più delle parole, per cui la visione del docufilm “Crazy for football” ha colpito nel segno. Del resto, non è stato difficile tifare per quei 12 pazienti psichiatrici diventati prima la Nazionale italiana di calcetto e poi campioni del mondo a Tokyo. E’ l’avventura affascinante e senza filtri immaginata da Santo Rullo, psichiatra impegnato nella Società Italiana di Psichiatria Sociale che da anni si batte perché i pazienti affetti da disturbi mentali vengano reinseriti nella società, e uno degli strumenti che ha individuato è proprio il gioco del calcio. Un progetto ripreso dalla telecamera del regista Volfango De Biasi e trasformato in un racconto dal vero, il docufilm appunto, poi premiato con il David di Donatello 2017.
Il calcio, insomma, come strumento di inclusione sociale, in senso lato di cura, “terapia” capace di affrontare anche i pregiudizi più duri a morire e di sbriciolarli con la forza della passione e dello spirito di squadra. «“Crazy for football” – ha detto in apertura Serafino De Giorgi, direttore del DSM ASl Lecce - è una magnifica impresa, allo stesso tempo sportiva e scientifica».
Come, del resto, è un’impresa organizzare da dieci anni “La testa nel pallone”, come ha sottolineato il presidente della Regione Puglia, Michele Emiliano, nella sua lettera di saluto: «Una bella iniziativa che prova a riagganciare un mondo, quello delle persone affette da disagio psichico, colmo di dolore, ma anche carico di esperienze in grado di generare speranza… Non rinunciamo a credere che la buona medicina passa anche attraverso un’attenzione specifica verso questo mondo. Bisogna ripartire da iniziative come “La testa nel pallone”, dall’esperienza, competenza e serietà degli operatori…».
Un’iniziativa che si allarga alla partecipazione delle scuole e dei giovani, «un segnale forte – ha rimarcato ancora De Giorgi - per cercare di sconfiggere i pregiudizi sulla malattia mentale. E’ il nostro modo di raccontare e superare questi problemi. Anche quando si incrociano con l’abuso di sostanze che provocano disturbi mentali: cannabis, alcool, droghe classiche che lasciano il passo a quelle sintetiche, a bassissimo costo e ad altissimo danno».
Parlare di malattia mentale, di fattori di rischio e di effetti collaterali può dunque diventare un investimento: «Sui valori, sulle comunità e nei territori – ha detto il direttore generale Silvana Melli - perché dobbiamo capire quanto veramente il “diverso” è diverso e graduare gli interventi in questo settore. E sforzarci di rendere visibile l’impegno dei Centri di Salute Mentale che operano sul campo. Dobbiamo insistere affinché certe vulnerabilità non diventino fragilità, con l’impegno da una parte degli operatori e dall’altra della comunità, che deve essere inclusiva. “La Testa nel pallone” – ha aggiunto - è un contributo per capire questo mondo che talvolta ci sembra distante dal nostro, ma è una parte del tutto che noi dobbiamo comprendere per andare verso un mondo migliore, senza distorsioni. Ed è, soprattutto, il contributo della Asl all’integrazione e alle relazioni positive con questo mondo, con la scuola, i ragazzi e i docenti. Questa capacità di interagire, forte e presente, ci predispone a continuare in questo sforzo e ad impegnarci affinché l’inclusione sociale diventi un valore da studiare e da inserire nei percorsi scolastici».
Un “valore” che Marco Vaggi, direttore del Dipartimento di Salute Mentale della Asl 3 di Genova, ha ritrovato qui a Lecce: «Questa passione mi dà l’energia che mi serve per andare avanti». «La Riabilitazione psichiatrica – ha scandito - non è intrattenimento, ma interventi tecnici che richiedono professionalità, competenze e risorse». Con una prospettiva di sviluppo imperniata sul “recovery”, il livello di funzionamento accettabile, che ha come obiettivi non solo «l’intervento sui sintomi, ma l’autonomia abitativa, le relazioni interpersonali, l’attività nel tempo libero, il lavoro e la scuola», in un concetto solo «migliorare la qualità di vita del paziente». E’ il cosiddetto “trattamento integrato”, in cui rientrano la psichiatria di comunità per curare i pazienti a domicilio e i gruppi multiprofessionali, dotati di competenze differenti da mettere in campo in percorsi con interventi differenziati nella varie fasi, che non sono mai lineari. «Per fare questo – le parole di Vaggi - serve una regia, una governance per gestire questi processi». E operatori profondamente convinti: «Per aiutare gli altri dobbiamo credere in quello che facciamo, trasmettendo l’idea della speranza che, talvolta, di fronte alla grande sofferenza è facile perdere». Apprezzato, infine, l’intervento di Pietro Nigro, coordinatore della Società di Riabilitazione Psicosociale Pugliese, che ha approfondito ulteriormente il tema degli interventi tesi alla reinclusione sociale delle persone affette da disturbi psichici, sia basati su evidenze scientifiche sia di tipo ludico e sportivo, maggiormente mirati a favorire la socialità e la condivisione.

 

 

Mercoledì, 31 Maggio, 2017 - 00:05