Charlie Hebdo: ad ognuno la sua tomba
Gentile direttore, il mio intervento è controcorrente e vuole manifestare umana pietà per quei falliti di Charlie Hebdo che hanno così chiaramente espresso il loro parere sulla catastrofe che si è abbattuta in Italia centrale. Lungi da me la condanna della satira e la messa in discussione del suo potere dissacratore. Ma essa è uno strumento per persone intelligenti.
Lunga vita alla satira quindi, e lunga vita alla possibilità di indignarsi per la miseria degli uomini.
L’efficacia del graffio satirico è storicamente connotata con una cruda, a volte surreale, capacità di fotografare le contraddizioni e le inefficienze della “cosa pubblica”, ma anche “del potere”, degli uomini e delle comunità, a qualunque latitudine siano.
Valutarne l’impatto è un problema di natura culturale e l’aspetto emotivo, in funzione dei contesti e dei periodi storici, ha una componente preminente nella reazione dell’opinione pubblica.
Quando il settimanale tedesco “Der Spieghel” (1997) rappresentò l’Italia, in una famosa copertina, con una pistola fumante posta sugli spaghetti, ci fu altrettanta indignazione. Allora non c’erano i “social” a fare da cassa di risonanza di ogni “puzzetta”, da qualunque parte essa provenisse. L’enfasi che i media nazionali hanno dato alla notizia, mi disgusta più della vignetta. Minuti interi concessi all’evento, interviste, commenti, prese di distanza, neanche ci avessero detto che siamo un popolo che non sa dove e come lavarsi il deretano, o che il nostro Presidente delle Repubblica corre in moto a casa dall’amante, o ancora che la nostra maggiore banca abbia coperto un buco da 4,9 miliardi di euro ad opera di un broker, o come se la nostra nazione avesse fallito un processo di integrazione sociale, creando le banlieue in cui si formano francesi che sgozzano francesi. La grandeur francaise non si pone limiti neanche quando si tratta di satira o presunta tale.
Ricorderai, caro direttore, il detto “Ci sputa an cielu an facce li cade”. (Letto in francese, suona benissimo…)
Conosciamo bene le nostre colpe. Non so se è stata la mafia a coprire con tetti di cemento armato case fatte con pietre, o se la mano di qualche ingegnere creativo. Sono comunque professionisti del crimine.
Se le persone morte nel terremoto diventano “condimento” di strati di lasagna è solo perché un gruppo di ignoranti pensa di fare satira usando il silenzio di innocenti. Ed invece si taglia le vene, suicidandosi, scadendo in un deprimente qualunquismo comunicativo.
Charlie Hebdo si suicida perché commette un errore fondamentale: usa la libertà di espressione in forma di onnipotenza, triturando ogni tipo di sensibilità, infrangendo la regola per cui la satira colpisce i potenti e non le loro vittime. Quando succede il contrario il consenso diventa un fatto autoreferenziale, e scaturisce sopratutto da perversioni e pervertiti sociali incapaci di valutare la reale complessità dei fenomeni culturali e religiosi, e delle dinamiche sociali nel tempo di internet. La velocità di divulgazione delle “pseudo” vignette impone una riflessione sul “valore sociale” della comunicazione e deve far riflettere sul fatto che molte più persone oggi sono nelle condizioni di “guardare” una vignetta e poche comprendono la differenza tra un cretino ed un vigliacco.
La satira è comunicazione alta ed altra cosa ed è una comunicazione fatta per essere “letta” non per essere “guardata”, quindi il suo “segno” non può essere uno scarabocchio, ma deve conoscere le lingue del mondo.
Cordiali saluti
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