All-inclusive

Se non ricordo male correva l’anno 2028 o forse il 2029 e noi ultimi sopravvissuti tutti intorno agli 80 anni, eravamo impegnati ad organizzare  una delle solite “rimpatriate”, forse l’ultima, dopo più di 10 anni dalla precedente. Quella volta decidemmo di  celebrarla  in un villaggio, un villaggio “all inclusive” della Basilicata. Avevamo appena prenotato e  già erano in tanti a saperlo, avevamo foto, recensioni  e programma di ogni serata. Insomma, in quel villaggio mancavamo solo noi.
Cominciammo dopo qualche giorno a pensare alle cose da portare e soprattutto a quello che ci mancava. Ci perdemmo nei negozi tra costumi e copri-costumi. Fu difficile per me decidere il colore dei pantaloni indeciso come ero tra il rosso e il giallo. Alla fine scelsi il giallo, mi slanciava di più e poi fu tutto un incrocio di colori accesi e disegni.
Quattro paia di “mutande da bagno” cinque camicie, magliette e poi un giubbino in caso di “fresco” , scarpe da tennis di quelle che non mancavano ai piedi di tutti i diciottenni.
Quando arrivammo in stazione centrale, c’era un ragazzo della animazione che ci aspettava con il cartello “BENVENUTI …. “  bene in vista.
Salimmo su un pulmino più vecchio di noi e dopo appena un quarto d’ora eravamo all’ingresso del villaggio, con trolley, borsoni, zaini e bustoni. Eravamo in fila per l’assegnazione della camera e per farci mettere il braccialetto al polso.
Un quarto d’ora dopo e già eravamo in giro a studiare la mappa del villaggio: ristoranti, piscina, bar, teatro e WC.
L’idea della vacanza ci fece sembrare il villaggio “bellissimo a prescindere”.
Iniziammo con l’acquagym e dopo quei movimenti, ci sentivamo già meglio, stanchezza e dolori erano spariti.
Quando arrivò l’ora di pranzo, eravamo dietro la porta d’ingresso prima che la aprissero. Ma come, intorno a un tavolo di otto persone erano seduti appena in tre ed era strapieno di piatti da non lasciare spazio neanche per un panino?  C’era di tutto, dai fagiolini alla salsiccia, dal prosciutto al formaggio, al tiramisù, e poi acqua e vino bianco o rosso a volontà.
Per non dire di no ad una bella animatrice, fui inserito nel torneo di tiro con l’arco. Al primo tiro al bersaglio, centrai in pieno un piccione che sfortunatamente per lui svolazzava nei dintorni.
Poi per motivi di sicurezza che ancora devo capire, mi fecero smettere. Sicuramente avevano capito che ero un concorrente che faceva paura e infatti gli altri concorrenti intorno a me li vedevo tutti impauriti. Un rumore assordante, interruppe rutti e brindisi. Una splendida cinquantenne di appena cento chili era scivolata su una bracioletta caduta a chissà chi, scendendo improvvisamente dalle  sue  zeppe alte 15 centimetri e che la slanciavano e la dimagrivano.
Fu terribile incrociare con lo sguardo posato su di lei a terra, quelle mutande di pizzo nere che le si vedevano  sotto la minigonna.
Per fortuna nulla di grave, giusto il tempo di tirarsi su con nonchalance , tranquillizzare i presenti e già aveva ricominciato a mangiare di tutto e di più.
Non mancarono,  nei giorni a venire, altri siparietti che ci fecero ridere a lungo.  Come una “panciata” in piscina che generò un’onda anomala che bagnò tutti i villeggianti distesi al sole e che stava per far annegare un bimbo nella carrozzina allagata dall’onda.
Ci volle tutta l’abilità del bagnino per salvarlo ma alla fine ci riuscì.
Avevo indossato tutte le cose che avevo portato al villaggio, solo che quei 40 gradi che il termometro segnava ogni sera non mi avevano ancora dato la possibilità di indossare quel giubbino firmato comprato per l’occasione. Quando ormai avevo perso le speranze e in una delle ultime sere, arrivò il fresco. E fu proprio quella sera e con il giubbino bianco firmato,  che mi lanciai in pista sulle note di GREASE con le stesse movenze di JOHN TRAVOLTA che tra l’altro ricordavo benissimo.
Quella sera al ritmo di tutto il repertorio della FEBBRE DEL SABATO SERA, befane in minigonna e capase tacco 12 sfilarono davanti ai nostri occhi più del solito, ma a dire il vero noi non eravamo da meno. Sembravamo comparse in un film di Woody Allen, movenze stravecchie, fuori tempo nei passi e nel ritmo. Se il ridicolo aveva un confine, noi lo avevamo abbondantemente superato. Sembravamo del ventenni con rughe, capelli bianchi, pancia e fiatone.
Ci sembrava rivivere tempi ormai superati e forse per un attimo ognuno aveva sperato di conservare un pizzico di quel fascino che in realtà s’era irrimediabilmente perso. Non mancarono i momenti in cui ci sentimmo fuori luogo e fuori tempo ma furono appunto momenti di cui ci sbarazzammo subito al solo pensiero di vivere momenti irripetibili.
I giorni tra una nuotata, un drink e un liscio passarono veloci. Ci trovammo all’improvviso a dover preparare le cose per il rientro. Ovvio il nostro umore non era dei migliori, avevamo perso il senso dell’humor e le battute spiritose facevano fatica a venirci o forse trovavamo pochi disposti a  ridere.
Ci trovammo tutti all’uscita avevamo  5 kg in più a testa, sudati e sfiniti. Era finita la vacanza si tornava.
Era andato tutto bene, di tutte le cose da portare al villaggio  non avevamo dimenticato nulla solo che forse, nella fretta, avevamo dimenticato un piccolo particolare: non avevamo più vent’anni.
Ma forse per quei pochi giorni avevamo preferito dimenticarlo.

Sabato, 6 Agosto, 2016 - 00:07